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18 Novembre 2022

Tutti parlano del Qatar. L'immobiliare meno

di Maurizio Cannone, Direttore Monitor

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Oggi si parla del Qatar per i mondiali di calcio: per i diritti dei lavoratori impegnati nella costruzione degli stadi, per le presunte tangenti circolate già all’epoca dell’assegnazione della manifestazione e per i 200 milioni di euro che la Rai ha pagato per i diritti televisivi di un evento a cui non partecipa la nazionale italiana.

Per ricordarsi di cosa rappresenta il Qatar per l’immobiliare forse può servire riproporre questo articolo del 2014. Sono passati 8 anni ma il concetto è quello.

Serve ricordare anche che il Qatar è uso muoversi nella più totale libertà, in qualunque Paese operi. Per esempio, con una decisione presa a Dhoa la Coima Res è stata ritirata dalla Borsa di Milano per “avere le mani libere” riguardo ai suoi investimenti.

Qatar: investitori per l’immobiliare o finanziatori del terrorismo? L'allarme lanciato da Usa e Germania

di Maurizio Cannone (24 Agosto 2014)

Il tema è spinoso.

Da una parte si parla del Qatar in Italia come di un emirato al quale vendere quanto più possibile, dall’altra lo si descrive come finanziatore del terrorismo islamico. Delle due l’una, o entrambe visto che secondo molti il denaro non avrebbe odore.

Prima di tutto serve inquadrare il Paese.

Il Qatar è una monarchia, non si muove foglia che l’emiro non voglia. Quindi se c’è qualcosa che non va non è possibile che la famiglia reale non ne sia a conoscenza e non l’abbia autorizzata.

Se guardiamo a come il Qatar si sta muovendo in Italia, si sta lanciando su prede ferite e vulnerabili nel puro spirito dell’investitore opportunistico: ha salvato per il momento il progetto Porta Nuova di Hines arrivando al 40% del progetto, l’altro giorno ha comprato l’hotel Aleph della catena Boscolo che con un buco da oltre 400 mln sta vendendo il vendibile. E poi l’interessamento annunciato e poi smentito per l’area Santa Giulia di Milano (Risanamento avrebbe risposto no grazie alla proposta) e per qualunque altra cosa vi venga in mente, compreso forse anche il Colosseo.

Perchè in Qatar ci saranno i mondiali di calcio del 2022, sempre che non ci siano novità riguardo all’inchiesta sulle presunte tangenti pagate per l’attribuzione del torneo. Nella vicina Dubai ci sarà l’Expo del 2020. E poi il Qatar dispone del terzo giacimento di gas naturale più grande del mondo.

Insomma eventi dove si deve costruire e un Paese ricco dove vendere il made in Italy. Questa la parte buona, senza soffermarsi sul fatto che i lavoratori che costruiscono i grattacieli, tutti immigrati perché i qatarini non si sporcano le mani, siano costretti a consegnare il passaporto al datore di lavoro una volta sbarcati nella capitale Doha. In cambio di un bel soggiorno in una baracca in mezzo al deserto, situazione molto simile ai clandestini che raccolgono pomodori in Italia. Ma sono dettagli visto che il Qatar di denaro ne ha tanto, ma proprio tanto, da investire per il mondo.

E la storia sembra ricalcare quella della Libia di Gheddafi. Nel 1976 comprò una quota di Fiat, poi rivenduta nel 1986 e acquistata ancora nel 2002.

Si trattava di miliardi di dollari per i quali si incontravano Gianni Agnelli e Gheddafi, in cui le trattative duravano mesi e portavano poi alla cospicua iniezione di denaro fresco di cui Fiat aveva bisogno. Ma sappiamo che i rapporti del Rais andavano da Prodi a Berlusconi, quindi nessuno scandalo. Un referente d’affari con piena dignità, almeno fino a quando non lo hanno squartato per strada. Ovviamente in quel momento era solo un dittatore sanguinario ma questa è storia recente.

Che c’entra il Qatar?

C’entra perché verso Doha si stanno indirizzando sospetti e accuse di sostegno ai terroristi dell’Isis, quelli del video del giornalista americano decapitato nei giorni scorsi.

Lo dice la Germania, dove il ministro dello sviluppo tedesco Gerd Mueller punta l’indice sull’Emirato di Doha in un’intervista alla tv Zdf, spiegando che “i soldati del Califfo terrorista vengono pagati dal Qatar”. È un passo che segue quello del vicecancelliere Sigmar Gabriel, ministro dell’economia, che pochi giorni fa aveva suggerito ai colleghi dell’Ue di “iniziare a discutere chi finanzia Isis”.

Il problema per l'occidente sta per manifestarsi in tutta la sua gravità se è vero che con un tesoro di oltre 2 miliardi di dollari lo Stato Islamico (Isis) di Abu Bakr al-Baghdadi è il gruppo terrorista più ricco del pianeta.

La pista qatarina è stata descritta da David Cohen, vice-segretario Usa al Tesoro con la responsabilità dell’Intelligence e la lotta al terrorismo, che da Washington ha spiegato, già in marzo, come "donatori del Qatar raccolgono fondi per gruppi estremisti in Siria, a cominciare da Isis e al-Nusra" con il risultato di "aggravare la situazione esistente". Un successivo studio del «Washington Institute per il Vicino Oriente» ha calcolato in "centinaia di milioni di dollari i versamenti compiuti da facoltosi uomini d’affari in Qatar e Kuwait a favore di al-Nusra e Isis", che in precedenza era nota come «Al Qaeda in Iraq». 

Sono tali elementi che hanno portato l’ultimo «Country Reports on Terrorism» del Dipartimento di Stato - relativo al 2013 - a definire il Qatar “ad alto rischio di terrorismo finanziario” e il Kuwait teatro di “finanziamenti a gruppi estremisti in Siria”. Colpisce il fatto che entrambi i Paesi sono stretti alleati degli Stati Uniti, in particolare il Qatar che nella base di Al Udeid ospita il gigantesco comando delle truppe Usa in Medio Oriente. 

Interessanti i dettagli raccolti da La Stampa. Poi non si dica che non sapevamo: “Il Qatar ha una doppia identità - spiega Ehud Yaari, il più apprezzato arabista d’Israele - da un lato ospita soldati Usa e accoglie uomini d’affari israeliani ma dall’altra finanzia i più feroci gruppi terroristi sunniti”. In effetti l’Emirato guidato da Tamim bin Hamad Al Thani è stato messo all’indice da Arabia Saudita ed Egitto per il sostegno che diede ai Fratelli Musulmani di Mohammad Morsi e l’isolamento nella Lega Araba è cresciuto a seguito della scelta di Doha di schierarsi - unico Paese arabo - a favore di Hamas nel conflitto di Gaza con Israele. Fino al punto che fonti di Al Fatah hanno rivelato al giornale arabo Al-Hayat che “il Qatar sta sabotando il negoziato egiziano per una tregua permanente nella Striscia” e in particolare avrebbe “minacciato di espulsione il leader di Hamas Khaled Mashaal per impedirgli di accettare le più recenti proposte formulate dal Cairo”.

A spiegare cosa c’è all’origine delle politiche del Qatar è Zvi Mazel, ex ambasciatore israeliano al Cairo, ricordando come “quando il presidente Gamal Abdel Nasser alla metà degli anni Cinquanta espulse i leader dei Fratelli Musulmani questi si rifugiarono in Qatar” allora colonia britannica, forgiando un’intesa “con le tribù locali che ne ha fatto le interpreti di un fondamentalismo ostile a quello dell’Arabia Saudita”. Se infatti la tribù saudita degli Ibn Saud “predica il fondamentalismo sunnita in un unico Paese, ovvero l’Arabia - spiega Mazel - la tribù Al Thani del Qatar predica il fondamentalismo d’esportazione, quello dei Fratelli Musulmani che distingueva anche Osama bin Laden, e punta a rovesciare i regimi arabi esistenti”. 

Il contrasto fra Qatar e Arabia Saudita nasce dunque dall’interpretazione del Corano e si sviluppa in una rivalità per la leadership del mondo sunnita che si rispecchia in quanto sta avvenendo in Siria dove, secondo fonti d’intelligence europee, Doha e Riad “finanziano gruppi islamici rivali dentro l’opposizione ad Assad”. L’ex premier iracheno Nuri al-Maliki negli ultimi due mesi ha più volte accusato Qatar e sauditi di sostenere Isis, lasciando intendere che ognuno ha i propri interlocutori, e che Riad agirebbe assieme a Emirati Arabi e Bahrein, accomunati proprio dall’ostilità al Qatar. Al-Baghdadi dunque si gioverebbe di più fonti di finanziamento con il filone-Qatar tuttavia più corposo anche per la convergenza di interessi con la Turchia di Recep Tayyep Erdogan. A metà mese l’agenzia russa Ria-Novosti ha rivelato che i fondi raccolti in Qatar avrebbero consentito a Isis di acquistare armamenti dell’ex Europa dell’Est grazie ad un network basato in Turchia. In particolare Isis avrebbe comprato blindati per trasporto truppe in Croazia, carri armati in Romania, mezzi per la fanteria in Ucraina e munizioni in Bulgaria riuscendo a sfruttare tali traffici anche per reclutare volontari in Kosovo e Bosnia.

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È online il nuovo numero di REview. Questa settimana:   Student Housing: accordo per 800 nuovi