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Fimaa in Parlamento: su atti di compravendita indicare estremi fattura, non compensi
di red
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Riscrivere la norma del Ddl Lavoro che impone di riportare, sugli atti di compravendita immobiliare, il compenso percepito dall’agente immobiliare, sostituendolo con gli estremi della fattura emessa. Lo ha chiesto in audizione alla Commissione Lavoro della Camera il vicepresidente vicario di Fimaa, Maurizio Pezzetta.
Secondo l’esponente della Federazione mediatori agenti d’affari, questa modifica garantirebbe maggiore privacy al mediatore e riconoscerebbe piena libertà contrattuale anche ai consumatori ma, soprattutto, contrasterebbe in maniera più efficace l’evasione fiscale.
Fimaa ritiene, infatti, che, inserendo gli estremi della fattura elettronica nell’atto notarile, si garantisce una maggiore tracciabilità del pagamento e si consente agli organi preposti di effettuare verifiche più puntuali ed immediate.
Maurizio Pezzetta, vicepresidente vicario Fimaa: “Oggi l’Agenzia delle Entrate, grazie agli sviluppi tecnologici e digitali, può ricorrere a nuovi strumenti per effettuare ogni tipo di controllo. Primo fra tutti, appunto, la fattura elettronica, grazie alla quale l’Agenzia può verificare tempestivamente dati come imponibile, Iva ed eventuali ritenute d’acconto. E può farlo senza ledere la privacy del professionista e l’autonomia contrattuale con i cittadini. Inoltre, l’indicazione degli estremi della fattura in atto pubblico garantirebbe un più efficace contrasto all’abusivismo, con conseguente emersione del sommerso”.
Secondo Fimaa, indicare il compenso del mediatore sull’atto di compravendita equivale a rendere noti dati economici “oggettivamente sensibili, la cui pubblicità può incidere negativamente sull’attività di intermediazione. In questo modo, nella vendita di un immobile le parti contraenti vengono a conoscenza del compenso che viene versato reciprocamente al mediatore. Questa eventualità – conclude Pezzetta – può penalizzare la libera contrattazione tra cliente e professionista, opportuna per la conclusione dell’affare, e può tradursi quindi in un danno anche per il consumatore”.
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