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17 Ottobre 2024

Botteghe storiche, un provvedimento sbagliato e dannoso

di Giorgio Spaziani Testa, Presidente Confedilizia

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Dopo il Senato, anche la Camera dei deputati – chiamata a esprimere il suo parere sullo schema di decreto legislativo del Governo intitolato “costituzione dell'Albo nazionale delle attività commerciali, delle botteghe artigiane e degli esercizi pubblici, tipizzati sotto il profilo storico-culturale o commerciale” – non ha avuto nulla da obiettare sul suo articolo 4. Ciò, nonostante esso contenga (al suo comma 1) una disposizione che riconosce il diritto di prelazione, in caso di vendita dell’intero complesso immobiliare, a favore dei titolari di locali sede delle attività in questione.

Si tratta di una previsione che eccede palesemente i limiti conferiti dalla legge delega, la quale ha la finalità di tutelare e valorizzare le attività commerciali che vengono svolte nelle botteghe storiche e non certo di imporre vincoli ai proprietari dei locali che le ospitano. E questa considerazione sarebbe sufficiente a determinare la sua espunzione dal provvedimento, neppure ipotizzata nei due pareri parlamentari.

Nel merito, essa estende l’applicazione dell’articolo 38 della legge n. 392 del 1978, in tema di prelazione in caso di compravendita dell’immobile locato, a fattispecie completamente diverse dalla locazione. Tale diritto, infatti, verrebbe riconosciuto sulla base, non solo “di un contratto di locazione”, ma anche “di altro legittimo titolo” che consenta “la detenzione o il possesso” dell’immobile di interesse. Ciò che significa che nell’ambito applicativo della norma del ’78 verrebbero ricomprese ipotesi come, ad esempio, il comodato o il diritto di usufrutto.  

La rottura con l’attuale sistema normativo sarebbe palese: si passerebbe da un’ipotesi circoscritta alle sole locazioni per le quali ricorrano determinate condizioni, a plurime fattispecie. Il che è tanto più grave se si considera che il ricorso, da parte del legislatore, all’istituto della prelazione è tradizionalmente molto misurato rinvenendosi, per lo più, nel diritto agrario. 

La norma, inoltre, riconosce il diritto in questione “anche in caso di vendita dell’intero complesso immobiliare”; una previsione che, se confermata, andrebbe a stravolgere l’intero sistema da sempre in vigore, così concepito per evitare che la locazione in essere in un singolo immobile facente parte di un più ampio fabbricato possa ostacolare, se non addirittura impedire, un’operazione di cessione in blocco. Effetti che invece si verrebbero senz’altro a determinare con la nuova norma, con grave pregiudizio non solo delle ragioni proprietarie, ma anche del mercato delle compravendite immobiliari. 

Dubbi sollevano anche altre due disposizioni dell’articolo 4: quella (comma 2) che consentirebbe alle Regioni, con propri provvedimenti, di individuare non meglio precisati “percorsi conciliativi” tesi ad agevolare la conclusione di accordi tra i proprietari e gli esercenti di attività commerciali, botteghe artigiane ed esercizi pubblici storici o di eccellenza, e quella (comma 3) riguardante l’attribuzione di poteri di vincolo in capo al Ministero della cultura. Due disposizioni, peraltro, entrambe caratterizzate dal non essere neppur esse coerenti con la legge delega.

Costituzione violata, diritto di proprietà calpestato, dinamiche economiche ignorate. Ma va tutto bene, per Governo e Parlamento. 

Quando la politica non ascolta, la Confedilizia si rivolge alla magistratura. È quello che faremo anche questa volta.

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