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La BCE ha alzato i tassi per la decima volta in questo ciclo (per un totale di 4,5% di incremento). La frase più significativa dello statement di accompagnamento sembra essere quella in cui si afferma che in base a quanto sappiamo oggi, il livello raggiunto dai tassi di interesse di policy (4% sul Depo 4,5% sul Refi) sia congruente con il raggiungimento del target di inflazione, almeno per quanto riguarda il ruolo della Politica Monetaria (cit: “Based on its current assessment, the Governing Council considers that the key ECB interest rates have reached levels that, maintained for a sufficiently long duration, will make a substantial contribution to the timely return of inflation to the target”). Il che qualifica la decisione odierna, apparentemente non unanime, ma comunque basata su ampia maggioranza, come un Dovish Hike che esaurisce per il momento l’urgenza di ulteriori interventi. I dati europei hanno recentemente fatto registrare un deterioramento dell’attività assieme ad una certa vischiosità dell’inflazione. Quest’ultimo ha indotto il Governing Council a rialzare, ma la perdita di tono ha certamente pesato nel segnalare la pausa in attesa che l’inasprimento delle condizioni finanziarie facciano il loro corso – c’è sempre un ritardo (18mesi circa) negli effetti.
Il mercato aveva già ridotto le aspettative sul picco (Terminal rate), giudicando eccessivi ulteriori rialzi in quanto forieri di concreti rischi di recessione (Policy mistake). Essendo, dunque, sostanzialmente raggiunto il culmine dei tassi (salvo revisione dello scenario), quello che più rileva per gli equilibri del reddito fisso e dei mercati finanziari è se il successivo sentiero di allentamento sia correttamente anticipato dai tassi a termine. Questi oggi ci dicono che il primo taglio dovrebbe arrivare durante l’Estate 2024 e prevedono tagli per 1,25% nei successivi tre anni (al 3,75% circa). Difficile asserire oggi se la velocità attesa dei ribassi sia appropriata, ma è più importante il punto d’arrivo, che riteniamo credibile. In particolare, i tassi previsti per il lungo periodo (5Y5Y), sono poco sotto il 3% che, con aspettative d’inflazione attorno al 2,6% (5y5y inflation swaps), implicano tassi reali impliciti attorno allo 0,25%. Questo livello è molto coerente con le stime disponibili del cosidetto ‘Neutral Rate’ dell’EZ (si veda ad esempio quelle della NY Fed).
Tutto considerato, dunque, non sorprende la reazione positiva dei mercati (obbligazionari ed azionari) europei e quella negativa dell’Euro.
È online il nuovo numero di REview. Questa settimana: Nomisma: frenano le vendite, volano gli affitti Si torna
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