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AllianzGI: Tassi più alti, più a lungo
di Hans-Jörg Naumer, Director Global Capital Markets & Thematic Research
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Le autorità monetarie non hanno vita facile di questi tempi. Da un lato emergono i primi segnali di contrazione ciclica, le curve dei tassi invertite delle principali aree geografiche preludono già a una recessione e le dinamiche inflazionistiche si allentano, dall’altro i mercati del lavoro sono tuttora, almeno in parte, piuttosto robusti. Questa è la situazione negli Stati Uniti. Il recente report di ADP rivela la crescita più consistente nell’arco di un anno. La componente occupazione dell’indice dei responsabili degli acquisti dell’Institute of Supply Management (ISM) per il settore dei servizi è tornata sopra quota 50 e si trova quindi in territorio espansivo.
La situazione di altri indicatori economici è piuttosto diversa da quella del mercato del lavoro. Alla fine del primo semestre l’economia mondiale vacilla in equilibrio precario tra resilienza a breve termine e crescente vulnerabilità a medio termine. Malgrado la nuova decelerazione del momentum sulla crescita, a giugno il nostro indice proprietario del ciclo economico (il Makro Breadth Index) ha evidenziato il quinto rialzo mensile consecutivo, in presenza di una continua rotazione geografica. Mentre negli USA, in Europa, in Giappone e in molti Paesi emergenti i dati economici sono lievemente migliorati, in Cina si registra un evidente deterioramento. Al contempo la continua debolezza del settore manifatturiero globale e gli effetti della politica monetaria più restrittiva sui settori sensibili all’andamento dei tassi, in particolare quello residenziale, non hanno ancora intaccato l’area dei servizi. Il settore dei servizi registra tuttora una crescita solida, benché moderata.
Il mese scorso il nostro indice dell’inflazione globale (il Macro Breadth Inflation Index) ha riportato invece l’undicesima flessione consecutiva. Tuttavia il dato preoccupante è il tasso core persistentemente elevato.
In tale quadro è più che mai necessario mantenere una politica monetaria sufficientemente restrittiva. L’incertezza circa l’entità degli inasprimenti ancora effettivamente necessari e i relativi effetti sull’economia reale alimentano il rischio di errori di politica monetaria.
In base all’approccio dell’economista Knut Wicksell, che confronta i tassi di riferimento reali con i tassi di interesse “naturali”, la politica monetaria in molti Paesi industrializzati, Stati Uniti compresi, non è sufficientemente restrittiva. Dopo la pausa di giugno, ora la banca centrale USA Federal Reserve (Fed) sembra pronta per due nuovi rialzi dei tassi da 25 punti base, uno a luglio e uno a settembre. Dal canto loro, la Banca Centrale Europea (BCE) e la Bank of England (BoE) dovrebbero aumentare i tassi rispettivamente di 50 e di 75 punti base. Si prevede che queste tre banche centrali si atterranno alla linea “più alti più a lungo” (higher for longer) e che manterranno i tassi di riferimento stabili sino al 2024, anche in caso di lieve contrazione economica. Sui mercati monetari questa ipotesi sembra sempre più condivisa. Nel secondo semestre la Banca del Giappone (BoJ) potrebbe effettuare nuovi adeguamenti alla politica di controllo della curva dei rendimenti, facendo un ulteriore passo verso l’inversione della politica di tassi bassi/negativi in essere da diversi anni.
In tale contesto i mercati finanziari globali potrebbero volgere sempre più l’attenzione ai crescenti rischi di recessione a medio termine. Per tale ragione i dati economici delle settimane e dei mesi a venire acquistano ancora maggiore importanza.
La settimana prossima
La prossima settimana continueremo a monitorare i dati economici. Particolarmente attesi, tra l’altro, il prodotto interno lordo del secondo semestre e la produzione industriale della Cina (in uscita lunedì), per i quali il consensus degli economisti intervistati da Bloomberg prevede tassi di crescita inferiori. Per le vendite al dettaglio e la produzione industriale negli Stati Uniti (martedì) si attendono invece dei progressi. La fiducia dei consumatori dell’Eurozona stenterà a risollevarsi, mentre le richieste iniziali e di rinnovo per i sussidi di disoccupazione negli USA probabilmente continueranno a sostenere la politica monetaria restrittiva. L’indice della Fed di Philadelphia e l’indice degli indicatori anticipatori per gli Stati Uniti (entrambi attesi per giovedì), quindi le stime di consensus, dovrebbero dipingere un quadro meno negativo rispetto a quello del mese precedente.
Data la situazione tecnica non cristallina (gli indici della forza relativa non mostrano né pressioni di vendita né pressioni di acquisto sui principali mercati), nel complesso i dati in uscita non lasciano presagire una settimana ricca di novità e difficilmente i mercati azionari potranno registrare grandi rialzi. In ogni caso, tra gli operatori di mercato si va radicando la consapevolezza di tassi “più alti, più a lungo”.
È online il nuovo numero di REview. Questa settimana: IGD: crescita sostenibile al cent
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