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16 Febbraio 2018

Tassi al cambio di passo

di Luigi dell'Olio, Monitorimmobiliare

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Non sembrano esserci crisi sistemiche all’orizzonte, ma di certo c’è che l’incantesimo si è rotto. La lunga fase Toro dei mercati finanziari, che sembrava protrarsi oltre ogni media storica (e in alcuni casi anche logica, dati alcuni multipli azionari), ha dovuto fare i conti con un brusco risveglio nelle ultime due settimane, sotto forma di correzione dei listini e ritorno della volatilità. Ritorno dell’inflazione e dinamica dei tassi: è intorno a questi due fattori che si interrogano gli analisti, nella consapevolezza delle ricadute che potranno derivare sia per chi investe in azioni e obbligazioni, sia per chi si occupa di immobiliare.

Surriscaldamento dei prezzi

L’indice dei prezzi al consumo è la voce più considerata dai banchieri centrali nel definire le proprie politiche sui tassi. Il quantative easing (immissione di liquidità sul mercato tramite acquisti di asset da parte delle banche centrali) è stato reso sostenibile oltre ogni previsione iniziale di durata proprio grazie a un’inflazione abbondantemente sotto i target, fissati dai governatori intorno al 2%. A un certo punto qualche osservatore ha addirittura invitato a rivedere questa soglia, nella considerazione che la globalizzazione e l’automazione dei processi produttivi svolgono un ruolo deflattivo.

Di colpo, però, la situazione è cambiata negli ultimi tempi. A gennaio l’inflazione negli Usa ha registrato un balzo dello 0,5% rispetto a dicembre, portando al 2,1% il progresso a un anno. A questo punto, dunque, non è escluso che la Federal Reserve riveda in maniera più restrittiva i suoi piani sui rialzi dei tassi – che segnerà il debutto del nuovo governatore Jerome Powell. Certo, questo ritmo di crescita non è preoccupante, ma qualora vi fosse ulteriore accelerazione - il Pce, vale l’indice relativo alle spese personali, che misura della pressione sui prezzi è in costante rialzo negli ultimi mesi – una politica più aggressiva da parte della Fed sarebbe inevitabile.

Nell’Eurozona, invece, l’inflazione a gennaio è cresciuta appena dell’1,3% e in Italia addirittura dello 0,8%, per cui almeno per un altro anno e mezzo non vi saranno ritocchi dei tassi, ma è inevitabile che si cominci a ragionare su un processo di normalizzazione che non potrà essere rinviato sine die.

Chi vince e chi perde

Uno scenario inflattivo che costringe le banche centrali ad alzare rapidamente i tassi (la cui normalizzazione è comunque necessaria) è negativo soprattutto per chi ha in corso investimenti obbligazionari. Le nuove emissioni, infatti, tenderanno ad assicurare rendimenti più elevati, causando un calo di valore per i titoli già sul mercato.

Quanto all’azionario, se l’inflazione cresce, ma senza eccessi, si tratta di un indice di buono stato di salute dell’economia, che promette di portare benefici ai conti aziendali. L’aumento dei tassi, poi, porta vantaggi alle banche, che in questo modo possono migliorare sul fronte della marginalità.

Quanto all’immobiliare, il rialzo dei prezzi è una spinta forte ad acquistare oggi nella prospettiva di dover fare i conti domani con prezzi più elevati, anche se lo scenario cambia in caso di forte rialzo dei tassi, per gli effetti sulle condizioni di indebitamento delle imprese e delle famiglie.

Infine un po' di carovita fa bene anche ai conti pubblici dei Paesi più indebitati, come l’Italia. Infatti, il rapporto tra debito e Pil è calcolato sommando alla crescita del prodotto interno lordo in termini reali, il valore dell’inflazione.



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