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26 Aprile 2020

Le norme del Cura Italia per il rilancio delle costruzioni

di Avv. Andrea Di Leo

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Come noto e condiviso tra tutti gli operatori del settore real estate occorre, nella fase 2, una ripartenza pronta e celere dell’attività edilizia.
In tal senso, sul piano amministrativo (o “burocratico” che dir si voglia) si pone il tema di come e quando far ripartire i procedimenti abilitativi, specie quelli incardinati prima e durante l’emergenza sanitaria.
Al riguardo una seria (e, come vedremo, preoccupata) riflessione si impone alla luce di quanto disposto dal legislatore nel D.L. 18/2020, convertito, con modifiche, dalla Camera oggi.

La disposizione di cui dobbiamo occuparci (anzi: preoccuparci) è l’art. 103 rubricato “Sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi ed effetti degli atti amministrativi in scadenza”.

Prima le “note positive”.

Il comma 2, del tutto opportunamente, introduce una speciale proroga dei titoli edilizi in scadenza nel periodo 31 gennaio 2020 – 31 luglio 2020, la cui validità è protratta sino al novantesimo giorno successivo alla “dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza”.
Tale previsione si applica automaticamente, quindi, ai termini di inizio e fine lavori, previste per permessi di costruire, SCIA, segnalazioni certificate di agibilità, autorizzazioni paesaggistiche ed autorizzazioni ambientali.
Positiva anche la scelta di slegare tale proroga dalla effettiva sospensione del cantiere per effetto dei D.P.C.M. recanti le attività (i codici ATECO) sospese e non sospese.
Nel complesso, quindi, la misura appare razionale ed equilibrata e, soprattutto, tale da determinare sufficienti certezze agli operatori economici.
Serie preoccupazioni, invece, sorgono dal comma 1, che rischia di rappresentare un serio freno alla – pur auspicata – pronta ripartenza invocata per la “fase 2”.

Qui, infatti, si dispone la sospensione di tutti i termini procedimentali tra il 23 febbraio ed il 15 maggio 2020 (testualmente: “termini ordinatori o perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi”).
La norma, posta in realtà a tutela dell’interesse della Pubblica Amministrazione (essendo finalizzata, infatti, come si apprende dalla Relazione tecnica di accompagnamento del D.L. 18/2020, ad evitare che l’Amministrazione “nel periodo di riorganizzazione dell'attività lavorativa in ragione dello stato emergenziale, incorra in eventuali ritardi o nel formarsi del silenzio significativo”) produce – anzi: sta producendo - effetti di rallentamento, dei quali alcuni “evitabili” e, altri, “inevitabili”.

Dal primo punto di vista, si prevede infatti che le  P.A. “adottano ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione dei procedimenti, con priorità per quelli da considerare urgenti, anche sulla base di motivate istanze degli interessa”.
Ossia, fermo che i termini procedimentali sono sospesi (e che, quindi, nessun inadempimento o ritardo può essere imputato all’Amministrazione per il mancato rilascio del titolo abilitativo nei termini di legge), nulla vieta alla P.A. di provvedere comunque celermente, specie se sollecitata dal privato sulla base di ragioni di urgenza.
Tale disposizione può valere a recuperare un po’ di tempo con riferimento ai procedimenti destinati a concludersi con provvedimenti espressi (pensiamo, ad esempio, a quello per il rilascio del permesso di costruire o taluni atti di assenso degli enti preposti a tutele vincolistiche). Certo, occorre la “buona volontà” dell’Amministrazione, ma se questa c’è (e le P.A. virtuose esistono) si può ipotizzare di recuperare il “tempo sospeso”.

Irrimediabile è, invece, il ritardo conseguente alla sospensione dei procedimenti la cui conclusione la legge affida al silenzio o al mancato intervento della P.A.
Tra questi, il caso più rilevante è quello della SCIA alternativa al permesso di costruire (la c.d. “super SCIA”), per la quale la legge (l’art. 23 del D.P.R. 380/2001) prevede (salvo alcune norme regionali) che l’intervento non possa essere posto in essere prima del decorso di 30 gg. dalla presentazione della SCIA (o dell’ottenimento dei necessari atti di assenso presupposti, quali, ad esempio, autorizzazioni soprintendenti zie).

In nessun modo – anche volendo – infatti la P.A. potrà intervenire per accelerare la conclusione del relativo iter, da ciò conseguendo che, ad esempio, a fronte di una super SCIA presentata il 24 febbraio, le opere potranno essere avviate solo a partire dal 15 giugno. Insomma, ove pure i provvedimenti governativi (e regionali) relativi alla “fase 2” dovessero consentire l’apertura del cantiere, l’operatore economico dovrà comunque attendere trenta giorni dal 15 maggio.

Considerato che, come noto, la SCIA alternativa costituisce il titolo prevalentemente utilizzato nelle ristrutturazioni edilizie, anche pesanti, ben si comprende come il rallentamento (non “evitabile”) del relativo iter deve essere considerato come un “effetto collaterale” della normativa emergenziale difficilmente giustificabile, alla luce del fine, dichiarato e condivisibile, di una rapida ripresa dell’edilizia nella “fase 2”.

Ora, se è vero che esistono – forse – argomenti giuridici per poter ritenere il termine per l’avvio dei lavori sottratto alla sospensione ex art. 103 del D.L. cura Italia, è chiaro come il sol dubbio interpretativo sul punto (da alcune P.A. già risolto con atti di indirizzo dove è sposata la tesi della sottoposizione del termine ordinatorio in questione alla sospensione ex lege) è elemento sufficiente per determinare, almeno in via prudenziale, la necessità di attendere per l’avvio del cantiere.

Lo stesso, inoltre, è a dirsi per i termini relativi all’esercizio dei poteri di controllo della P.A. relativi alle SCIA (anche semplici): il termine di 30 gg., ma anche quello di 18 mesi, si compirà senza considerare gli oltre due mesi di sospensione procedimentale (24 febbraio - 15 maggio) e ciò con ogni ovvia conseguenza sui tempi di “stabilizzazione” del “titolo” legittimante l’intervento edilizio.
Infine, per i procedimenti affidati dalla legge ad un silenzio significativo (assenso o diniego), l’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 103 dispone che “sono prorogati o differiti, per il tempo corrispondente, i termini di formazione della volontà conclusiva dell’amministrazione nelle forme del silenzio significativo previste dall’ordinamento”.
Insomma, quel che sembra possibile osservare è che il legislatore, dovendo trovare un equilibrio tra le esigenze della Pubblica Amministrazione e quelle, non meno importanti, degli operatori economici, ha optato per una disciplina evidentemente sbilanciata a favore della prima, i cui effetti rischiano di determinare un (ulteriore) handicap nella necessaria ripartenza da tutti desiderata nella fase due.


L’auspicio, allora, è che, persa l’occasione per correggere il tiro in sede di conversione del D.L. cura Italia, il legislatore intervenga a stretto giro con riforme veramente in grado di semplificare – e quindi aiutare – il settore edilizio, che rischia di uscire dalla “fase 1” dell’emergenza con un ulteriore fardello di complicazioni e rallentamenti “burocratici”.

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