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Banche venete: adesso il salvataggio è più vicino
di Luigi Dell'Olio, Monitorimmobiliare
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La nuova settimana potrebbe essere quella decisiva per condurre in porto il salvataggio di Veneto Banca e Popolare di Vicenza.
Nella consapevolezza che non si tratta solo di non mettere in salvo due istituti di dimensioni tutto sommato ridotte, ma di evitare l’effetto contagio sui territori di riferimento e sull’economia reale, compreso il settore immobiliare.
Fine del braccio di ferro?
Per quasi un mese il Governo italiano e le autorità comunitarie (la DgComp di Bruxelless e la Vigilanza di Francoforte) sono stati impegnati in un serrato confronto, che a tratti ha assunto i connotati di un vero e proprio braccio di ferro. Da una parte l’Europa a chiedere che, prima di far entrare lo Stato nel capitale (sono già pronti 6 miliardi e mezzo di euro), vi sia una nuova ricapitalizzazione da 1,2 miliardi da parte di soggetti privati.
Dall’altro l’esecutivo nazionale nel tentativo di far comprendere ai tecnocrati che nessuno è disponibile a imbarcarsi in un salvataggio dai contorni ancora indefiniti. Non gli imprenditori del territorio, già scottati dalle passate gestioni delle due banche, non i fondi di private equity che pure erano stati interpellati, ma che non vedono un orizzonte chiaro sul fronte della redditività.
Tocca alle banche sane intervenire
Alla fine lo spiraglio è stato trovato nello stesso settore bancario.
Nonostante l’esperienza negativa di Atlante 1, il fondo nato proprio per ricapitalizzare le banche venete, ma che presto ha visto sfumare l’investimento a fronte dei problemi di bilancio sempre più gravi emersi in capo ai due istituti, si è preso atto che senza un nuovo intervento si rischia una crisi generalizzata di sfiducia. Il primo a cambiare rotta è stato il timoniere di Unicredit, Jean Pierre Mustier, che si è speso per convincere l’omologo di Intesa SanPaolo Carlo Messina. Aperture sono arrivate anche da Mediolanum e Poste, quindi è toccato a Unipol e Iccrea.
Soluzione “volontaria”
Difficile che alla partita prendano parte Mps (a sua volta alle prese con una pesante crisi), Banco-Bpm (da poco hanno avviato il processo di integrazione) e Ubi (che ha già preso in carico tre delle quattro banche regionale finite con le gambe per aria nel 2015).
Altri operatori saranno sondati, il Governo farà sentire la sua pressione, ma in ogni caso si tratterà di una colletta – almeno formalmente – volontaria.
Resta da capire se il Governo riuscirà a ottenere uno sconto sull’importo richiesto dall’Ue e se in cambio potrà mettere sul piatto misure “compensative” per il settore come sgravi sugli oneri sociali per favorire la gestione degli esuberi previsti dagli istituti per gli anni a venire.
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