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14 Febbraio 2024

La due diligence notarile a tutela dell’acquisizione dei siti green field

di Notai Giovannella Condò e Stefania Anzelini, Milano Notai

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Il notaio interviene nella fase preliminare dell’acquisizione dei siti idonei ad ospitare impianti fotovoltaici o eolici, predisponendo per gli operatori del settore Energy il due diligence site report. 

Questo documento contiene la verifica della titolarità degli immobili, la corretta intestazione catastale, la continuità della storia ventennale ed evidenzia pesi e pregiudizi all’acquisto.

Qui di seguito una analisi delle casistiche a cui prestare attenzione:

Compendio unico e vincoli di indivisibilità

Rappresentano un potenziale ostacolo per l’imprenditore nel settore Energy perché potrebbero impedire o limitare la disponibilità dei terreni.

Nella maggior parte dei casi i vincoli di indivisibilità sono la conseguenza di un trattamento fiscale di favore di cui il titolare ha beneficiato in fase di acquisto, come accade per il Compendio Unico, disciplinato dall’art. 5bis DL 228/2001, che lo definisce come l'estensione di terreno necessaria al raggiungimento del livello minimo di redditività determinato dai piani regionali di sviluppo rurale per l'erogazione di sostegni previsti a livello europeo.

L’atto di acquisto di terreni agricoli (non necessariamente confinanti) contenente l’impegno a costituirli in compendio unico, e a coltivarli o condurli come imprenditore agricolo professionale o coltivatore diretto per almeno dieci, è esente dal pagamento dell’imposta di registro ipotecaria, catastale, di bollo e di qualsiasi altro genere in fase di acquisto. Nell’esenzione sono ricompresi anche i fabbricati rurali posti a servizio dei terreni.

L’agevolazione fiscale per il compendio unico è stata abrogata, dal primo gennaio 2014, relativamente agli acquisti a titolo oneroso, ma rimane applicabile alle donazioni. 

A fronte ditale sgravio fiscale, la legge pone una serie di vincoli a carico del beneficiario. Oltre all’obbligo di coltivazione, vige un vincolo di indivisibilità per dieci anni dalla costituzione, e durante tale periodo i terreni non possono essere frazionati né con atti tra vivi, né a causa di morte. Gli atti che hanno per effetto il frazionamento del compendio unico sono nulli, ma resta valido l’atto di vendita dell’intero compendio, prima del decorso dei 10 anni, comportando per il venditore la decadenza dall’agevolazione sfruttata in fase di acquisto.

Il vincolo di indivisibilità deve essere espressamente menzionato, da parte del notaio, negli atti con i quali viene costituito il compendio unico, e deve essere trascritto nei registri immobiliari.

Il vincolo di indivisibilità è previsto per la durata di anni 30 nel caso di fondi agricoli acquistati con le agevolazioni creditizie concesse dallo Stato per la formazione o l’ampliamento della proprietà coltivatrice (art. 11 L. 817/1971). 

Anche per tale vincolo c’è l’obbligo di trascrizione nei pubblici registri, pubblicità che secondo la prevalente dottrina avrebbe natura costitutiva ed è prevista la nullità degli atti posti in essere in violazione dello stesso.

Il termine trentennale è stato ridotto a quindici anni dall’art. 11 del D.Lgs 228/2001, e la riduzione si applica, con efficacia retroattiva, a tutti i vincoli costituiti in data antecedente di almeno cinque anni all’entrata in vigore del decreto (1 luglio 2001).

Si possono quindi verificare le seguenti ipotesi:

Il vincolo inibisce tutti gli atti di disposizione che producano l’effetto di un frazionamento reale dei fondi (per esempio la vendita o la permuta di porzioni del fondo). Non si ritiene neppure ammissibile la costituzione di ipoteca o la costituzione di un diritto di superficie, in quanto potenzialmente idonea a realizzare il frazionamento che la norma vuole impedire.

Gli usi civici

Più difficili da individuare, gli usi civili sono diritti spettanti ad una collettività su determinate terre pubbliche o private, le prime, quelle pubbliche, talora definite demani civici, o domini della collettività. Di solito la presenza di usi civici emerge dal certificato catastale o dal certificato di destinazione urbanistica ed essi si concretizzano nel diritto di coltivazione, di caccia, di pascolo o di legnatico e la loro origine risale al medioevo, epoca in cui la terra rappresentava l’unico elemento di sostentamento per la collettività.

La normativa in tema di usi civici è dettata essenzialmente dalla legge regolatrice della materia, L. 16 giugno 1927, n. 1766, e dal Regolamento, R.D. n. 332 del 1928, a cui oggi si accompagna la L. n. 168 del 2017.

Sono imprescrittibili e conseguentemente non si possono estinguere per usucapione di alcuni soggetti oppure per il mancato esercizio, sono gravati da vincolo di destinazione agro-silvo pastorale e sono inalienabili a pena di nullità dell’atto posto in essere in violazione della relativa disciplina, se non in casi eccezionalmente ammessi dalla legge e con procedimenti specificamente tipizzati.

Tali caratteri sono stati, ribaditi con chiarezza dall’art. 3, comma3, L. n. 168/2017.

Vi sono due principali categorie di usi civici:

1) usi civici su terre private (o c.d. allodiali);

2) usi civici su terre di dominio della collettività.

Nel primo caso il terreno è sempre commerciabile, ma l’alienazione non estingue l’uso civico, il quale continuerà a insistere sul fondo, potendo il gli usi civici essere ricondotti a diritti reali limitati (conclusione confermata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 119 del 2023). In questo caso il notaio dovrà indicare nel proprio atto l’esistenza dell’uso civico. 

La vendita del terreno privato libero dall’uso civico è possibile, invece, solo previa affrancazione del fondo, attraverso una procedura di liquidazione monetaria dell’uso civico.

Nel secondo caso si parla di beni collettivi appartenenti a una determinata collettività, cioè agli abitanti di un determinato luogo (esempio gli abitanti di un comune o dell’associazione agraria). Queste terre civiche, disciplinate dalla L. 16 giugno 1927, n. 17667, sono per definizione incommerciabili, imprescrittibili e insuscettibili di mutamento di destinazione, se non in casi eccezionalmente ammessi dalla legge. 

Il regime circolatorio delle proprietà collettive richiede, infatti, di individuare esattamente la fase in cui si trovi il bene. 

L’art. 11 della legge del 1927 suddivide le terre civiche in due categorie:

- categoria A) boschi e pascolo: terreni destinati a restare di proprietà collettiva, salva specifica autorizzazione regionale alla vendita (preventiva rispetto all’atto notarile) ex art. 12, L. n. 1766/1927 (ed oggi ex art. 3, comma 8 bis, L. n. 168/2017);

- categoria B) coltura agraria: il bene è assegnato a titolo di enfiteusi al singolo proprietario (enfiteuta) con obbligo di migliorie e con l’imposizione di un canone, e può essere alienato soltanto dopo l’affrancazione del canone enfiteutico (art.21, L. n. 1766/1927). L’affrancazione è ammessa solo dopo che le migliorie sono state eseguite e accertate ai sensi dell’art. 21 L. 1766/1927. L’eventuale alienazione senza affrancazione viene sanzionata con la nullità. La Cassazione ha precisato, tuttavia, che è legittimo un contratto preliminare di vendita prima dell’affrancazione.

Fino all’assegnazione a categoria il bene appartiene, quindi, alla collettività e i divieti di alienazione sembrano essere più rigorosi.

Infine, a prescindere dallo stadio in cui si trovi, il bene in proprietà collettiva è altresì commerciabile in alcune specifiche ipotesi, ovvero nell’ipotesi di Legittimazione dell’occupazione abusiva posta in essere dal soggetto occupante la terra, seguita dall’imposizione di un annuo canone di natura enfiteutica (art. 9, L. n. 1766/1927), oppure a seguito del vittorioso esperimento di una procedura di Conciliazione (art. 29, L. n. 1766/1927).

Provenienza donativa e accettazione tacita di eredità

Nel caso in cui dall’analisi ipotecaria emerga che il bene è di provenienza successoria o donativa occorre porre in essere una serie di accorgimenti.

In presenza di una successione l’art. 48 del Testo Unico dell’imposta sulle successioni e donazioni (d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346), precisa che i notai non possono compiere atti relativi a trasferimenti per causa di morte, se non è stata fornita la prova della presentazione, anche dopo il termine di cinque anni di cui all’art. 27, comma 4, della dichiarazione della successione.

Tale adempimento, però, seppur necessario per porre in essereatti di disposizione aventi ad oggetto beni ereditari, rileva solo ai fini fiscali e ha come conseguenza che il bene caduto in successione venga volturato in catasto a favore degli eredi, ma non comporta alcun aggiornamento dei registri immobiliari dal punto di vista dell’intestazione del bene.

Ciò fa sì che a livello ipotecario si verifichi una mancata continuità delle trascrizioni nel ventennio, un’evenienza che può essere sanata attraverso la trascrizione dell’accettazione tacita di eredità. Si tratta di una trascrizione aggiuntiva, che viene effettuata contestualmente all’atto dispositivo del bene ereditario oppure, qualora gli eredi abbiano già compiuto atti traslativi senza procedervi, utilizzando l’ultimo titolo avente ad oggetto tale bene.

A livello documentale, l’adempimento in questione richiede sempre la produzione del certificato di morte del de cuius.

Più ostica è la situazione nel caso di immobile di provenienza donativa, che può rappresentare un rischio per il terzo acquirente del bene donato o la banca che voglia ipotecarlo a seguito della concessione di un finanziamento. Infatti, se si verifica un pregiudizio dei diritti dei legittimari (discendente o coniuge del donante), la cui quota di riserva sia stata lesa dalla donazione, quest’ultima potrebbe essere impugnata ed in determinati casi il legittimario leso può rivendicare la proprietà del bene.

L’azione di restituzione, disciplinata dall’art. 563 del codice civile, permette infatti al legittimario, vittorioso nell’azione di riduzione e pregiudicato dall’incapienza del patrimonio del donatario, di ottenere la restituzione dei beni oggetto di donazione da parte di chiunque ne abbia conseguito la proprietà. 

Per prima cosa, però, occorre valutare se il rischio di un’aggressione sia attuale e quindi verificare:

1) se il donante sia ancora in vita;

2) quanti anni sono trascorsi dalla donazione;

3) se vi sono legittimari che possono avanzare pretese sul bene donato.

Nel caso il donante sia già deceduto, infatti, non ci sono rischi nei seguenti casi:

- il donante aveva un unico legittimario che è anche il donatario;

- sono passati più di 10 anni dalla morte del donante (termine nel quale si prescrive l’azione di riduzione, presupposto per poter agire in restituzione);

- i legittimari hanno già rinunciato all’azione di riduzione, dopo la morte del donante.

Se non si ricade nei suddetti casi, una possibile soluzione è rappresentata dalla rinuncia all’azione di riduzione da parte di tutti i legittimari, da farsi prima o contestualmente alla stipula dell’atto di acquisto di bene immobile con provenienza donativa.

Se il donante è ancora in vita e non sono trascorsi più di venti anni dalla donazione, oppure sono trascorsi più di venti anni dalla donazione ma i legittimari hanno rinnovato il diritto di opposizione alla donazione (art. 563 comma 4), possono essere adottate diverse soluzioni:

- mutuo dissenso, ossia un atto con il quale donante e donatario convengono di sciogliere la donazione con effetto retroattivo: in questo caso la vendita al terzo acquirente verrà fatta dal donante che è ritornato nella proprietà del bene donato;

- polizza assicurativa emessa da una banca che garantisce il terzo acquirente nel caso di evizione conseguente all’esercizio dell’azione di restituzione;

- rinunzia all’azione di restituzione da parte di tutti i legittimari che preclude la tutela reale e quindi l’aggressione del bene. Resta inteso che tale soluzione, in determinati casi, può essere non consigliabile perché non tutela il terzo acquirente dagli eventuali legittimari sopravvenuti dopo l’atto di compravendita.

Privo di rischi per il terzo acquirente è, invece, il caso in cui siano trascorsi più di venti anni dalla donazione e nessun legittimario si sia opposto alla donazione.

Il pignoramento 

L’articolo 2913 codice civile stabilisce che non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento, salvi gli effetti del possesso di buona fede per i beni mobili non iscritti in pubblici registri.

Il pignoramento, a norma dell’articolo 492 del codice di procedura civile, è “[…] una ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito, esattamente indicato, i beni che si assoggettano all’espropriazione e i frutti di essi”.

Per quanto riguarda, più nel dettaglio, il pignoramento immobiliare, il primo comma dell’articolo 555 del codice di procedura civile prevede che esso si esegua mediante notificazione al debitore e successiva trascrizione di un atto nel quale si indicano esattamente, con gli estremi richiesti dal codice civile per l’individuazione dell’immobile ipotecato, i beni e i diritti immobiliari che si intendono sottoporre a esecuzione, con l’ingiunzione prevista nell’articolo 492. 

Dovendo essere trascritto nei registri immobiliari, può accadere che durante l’analisi ipotecaria del bene il notaio si accorga che lo stesso è gravato da un pignoramento. 

A livello operativo, la presenza di una trascrizione pregiudizievole di questo tipo comporta l’adozione da parte del notaio di una serie di accorgimenti volti a tutelare il cliente. 

Anzitutto deve rendere edotta la parte acquirente che l’atto dispositivo di un bene pignorato è valido, ma inopponibile al creditore procedente ed ai creditori intervenuti nella procedura esecutiva. L’inefficacia relativa comporta che l’atto produca comunque effetti tra il debitore alienante ed il terzo acquirente

La norma si riferisce non solo gli atti di “alienazione” in senso proprio (compravendita, permuta, donazione), ma anche gli atti costitutivi di diritti reali, come l’atto costitutivo del diritto di superficie o del diritto di usufrutto.

Il professionista incaricato della vendita, tuttavia, nell’ottica di una maggiore tutela delle parti coinvolte, potrebbe adottare delle soluzioni più prudenti, tali da permettere di concludere l’accordo in maggiore sicurezza. Tra queste vi è la vendita sottoposta a condizione sospensiva. L’evento dedotto in condizione ha ad oggetto l’estinzione della procedura esecutiva senza che il debitore, il creditore procedente o altri eventuali creditori intervenuti abbiamo fatto reclamo (art. 630, comma 3, c.p.c.). L’estinzione della procedura esecutiva viene pronunciata con un’ordinanza del Giudice dell’Esecuzione nella quale viene ordinato al conservatore dei registri immobiliari di cancellare la trascrizione del pignoramento immobiliare. 

Al verificarsi della condizione, le parti sottoscrivono un apposito atto notarile ricognitivo dell’avveramento della condizione sospensiva, al fine di dare pubblicità nei registri immobiliari della cancellazione della condizione stessa (art. 2668, comma 3, c.c.). 

Altra peculiarità di questo approccio prudenziale è l’utilizzo dello strumento del deposito prezzo sul conto corrente dedicato del notaio. Tale istituto, infatti, fornisce soddisfacenti garanzie a tutte le parti interessate. 

Alla parte acquirente che, nonostante la condizione sospensiva, corrisponde immediatamente il prezzo al notaio il quale, in caso di accoglimento di un reclamo verso l’ordinanza che sancisce l’estinzione della procedura esecutiva, procederà alla restituzione dello stesso.

Al creditore procedente, al quale il prezzo dovrebbe essere indirizzato, su delegazione del venditore (debitore), che nonostante non incassi con immediatezza la somma, può utilmente rinunciare alla procedura esecutiva con la sicurezza di trovare la soddisfazione delle sue ragioni non appena la procedura sarà effettivamente estinta. Se si avvera tale eventualità il notaio svincola la somma costituita in deposito a suo favore; diversamente, il creditore procedente manterrà comunque il diritto partecipare alla suddivisione del ricavato con privilegio rispetto agli altri creditori in forza del proprio diritto.

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