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18 Ottobre 2019

Tra evasione fiscale e incidenti sul lavoro. Tempi sempre più duri per l'edilizia

di G.I.

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Italia regno dell'evasione. L'economia italiana non osservata - vale a dire attività clandestine, illegali o informali - nel 2017 valeva circa 211 miliardi di euro, più del 12% del PIL. Il 'triste' record emerge dagli ultimi dati diffusi dall'Istat sul peso dell'economia "non osservata" sui conti nazionali per il periodo che va dal 2014 al 2017.

192 miliardi di euro finiscono nell'economia sommersa, gli altri 19 miliardi di euro erano legati ad attività illegali.
Insomma, si potrebbero fare una decina di manovre finanziarie, se si raccogliessero in un colpo solo tutte le risorse che confluiscono nell'economia "non osservata". Sotto quella strana locuzione, di marca dell'Istat, rientrano le attività che stanno sotto il "sommerso", e che valgono poco meno di 192 miliardi di euro, cui si sommano le attività illegali che valgono circa 19 miliardi. Questo pezzo nascosto dell'Italia è cresciuto in valore dell'1,5% rispetto all'anno prima, ma visto che il valore aggiunto complessivo è andato a un passo più veloce, in rapporto alla ricchezza nazionale il peso di nero&co. è sceso: "Le stime per il 2017 confermano la tendenza alla riduzione dell'incidenza sul Pil della componente non osservata dell'economia dopo il picco del 2014 (13,0%)". Siamo ora al 12,1 per cento del Prodotto nazionale.

Quando si parla di valore dell'economia sommersa, si fa riferimento in primo luogo al "valore aggiunto occultato tramite comunicazioni volutamente errate del fatturato e/o dei costi (sotto-dichiarazione del valore aggiunto), o generato mediante l'utilizzo di input di lavoro irregolare". Solo queste due voci da sole valgono 176 miliardi di euro, dicono i numeri dell'Istat. Il 41,7% del sommerso economico, viene precisato, si concentra nel settore del commercio all'ingrosso e al dettaglio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, dove si genera il 21,4% del valore aggiunto totale. Non va meglio per il settore delle costruzioni con una percentuale del 22,1%.Analogamente l'incidenza relativa del ricorso al sommerso è alta negli altri servizi alle persone ed è pari al 12,3% del sommerso economico, pur contribuendo il settore solo per il 4,1% alla formazione del valore aggiunto totale. Se si parla invece delle unità di lavoro irregolari, che nel 2017 sono 3 milioni 700 mila, il trend è negativo: sono in crescita di 25 mila unità rispetto al 2016. L'aumento della componente non regolare (+0,7% rispetto al 2016) segna la ripresa di un fenomeno che nel 2016 si era invece attenuato (-0,7% rispetto al 2015).
 

A queste voci, per determinare l'economia sommersa, si aggiungono "il valore dei fitti in nero, delle mance e una quota che emerge dalla riconciliazione fra le stime degli aggregati dell'offerta e della domanda. Quest'ultimo tipo di integrazione contiene in sé, in proporzione non identificabile, sia effetti collegabili a fenomeni di carattere puramente statistico, sia fenomeni ascrivibili all'esistenza dell'economia sommersa non completamente colti attraverso la stima da sotto-dichiarazione e da lavoro irregolare".
Le attività illegali sono invece "sia le attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono proibite dalla legge, sia quelle che, pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati. Le tipologie di economia illegale, incluse nel Pil dei Paesi Ue, sono la produzione e il commercio di stupefacenti, le attività di prostituzione e il contrabbando di sigarette". Nel 2017, con un incremento di 0,8 miliardi rispetto all'anno precedente, il valore di queste attività si è portato a 18,9 miliardi e i consumi finali di beni e servizi illegali sono risultati pari a 20,3 miliardi di euro (+0,9 miliardi rispetto al 2016). "Tra 2014 e il 2017 l'incremento delle attività illegali è stato pari a 2,4 miliardi per il valore aggiunto e 2,7 miliardi per la spesa per consumi finali delle famiglie (con una crescita media annua rispettivamente del 4,7 e 4,9%)".

Non va meglio se si vanno a vedere i numeri diffusi dall'Inail sugli infortuni sul lavoro, soprattutto nel settore delle costruzioni che ha visto un aumento degli incidenti mortali.
Lo scorso anno, infatti, gli infortuni accertati nel settore delle costruzioni sono stati 30.174, il 19,2% in meno rispetto ai 37.354 del 2014. In base ai dati Inail 2018, il calo è dovuto sia al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei cantieri sia alle conseguenze della crisi economica, che dal punto di vista dell'occupazione ha penalizzato soprattutto l'industria. A descrivere nel dettaglio l'andamento infortunistico in questo settore di attività, che resta strategico per il sistema economico italiano, è il nuovo numero del periodico "Dati Inail", realizzato dalla "Consulenza statistico attuariale" dell'Istituto.

A confermare l'alta rischiosità delle costruzioni, nonostante la riduzione della frequenza degli infortuni, è la gravità dei casi: l'anno scorso, infatti, circa il 27% dei decessi avvenuti in occasione di lavoro nell'industria e servizi (115 su 432) è avvenuto nei cantieri, con un aumento di 23 casi rispetto al 2017. Prendendo in considerazione anche gli incidenti avvenuti in itinere, nel tragitto di andata e ritorno tra la casa e il luogo di lavoro, i morti accertati nel 2018 sono stati 125, 16 in più rispetto all'anno precedente. Anche i numeri relativi agli infortuni indennizzati in permanente dall'Inail ribadiscono la pericolosità dell'attività nei cantieri. Nel 2018, in particolare, le costruzioni hanno registrato il numero maggiore di rendite ai superstiti (98), che sono arrivate a rappresentare più di un quinto di quelle del complesso dell'Industria e servizi.

In particolare, il fenomeno infortunistico nelle costruzioni resta concentrato nel Nord Italia (60%), dove Lombardia ed Emilia Romagna arrivano a rappresentare da sole circa un terzo del complesso degli infortuni (rispettivamente 17% e 12%). La quota dei casi occorsi in occasione di lavoro, inoltre, è tra le più alte tra i vari settori di attività, attestandosi per l'intero quinquennio 2014-2018 intorno al 92,9%, inferiore solo al 93,7% dell'industria del legno.
Nel quinquennio 2014-2018 la perdita di controllo di macchinari e lo scivolamento o inciampamento con caduta di persona rappresentano le principali cause degli infortuni in occasione di lavoro accertati nelle costruzioni, con una percentuale pari a circa il 50%, che raggiunge il 65% nel caso di eventi mortali. Gli incidenti avvenuti durante lo svolgimento dell'attività lavorativa nel 90% dei casi hanno provocato all'infortunato una contusione (24,4%), ferita (23,%), lussazione (22,4%) o frattura (18,7%). Ferite e fratture riguardano principalmente gli arti superiori (rispettivamente 65,4% e 42,3%), e in particolare la mano, le lussazioni quelli inferiori (53,2%), soprattutto la caviglia e il ginocchio, mentre le contusioni tanto gli arti inferiori (27,8%) quanto quelli superiori (28,2%).
 
 
Lo scorso anno la classe d'età maggiormente interessata da infortuni (8.801 casi) è stata quella tra i 45 e i 54 anni, il cui peso è però maggiore per gli italiani (32,3%) rispetto agli stranieri (27,5%). Per i casi con esito mortale, invece, è la fascia compresa tra i 50 e i 59 anni ad aver registrato una percentuale più alta di decessi (39%), coinvolgendo per la quasi totalità lavoratori italiani. Sempre nel 2018, 22 eventi letali hanno coinvolto i lavoratori over 60, in quasi un caso su quattro per caduta dall'alto (circa 24%), con un peso maggiore rispetto alla fascia di età da 20 a 39 anni (circa il 10%). Alta è anche la quota di infortuni con menomazioni permanenti per i lavoratori con più di 60 anni, che supera il 17% (contro un 6% per la classe da 20 a 39 anni), a conferma che con l'aumentare dell'età diminuiscono tre componenti fondamentali nel settore edile: efficienza fisica, reattività ed equilibrio.

Questo articolo, con la videointervista, è presente su REview di questa settimana. Leggi gratuitamente il numero completo!

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È online il nuovo numero di REview. Questa settimana:   Student Housing: accordo per 800 nuovi