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20 Novembre 2018

Neuberger Berman: scafo più forte, ma a vele ben spiegate

di Erik Knutzen, Chief Investment Officer-Multi-Asset Class

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Joe Amato, Brad Tank ed io siamo tutti d’accordo: “la volatilità è tornata e per una buona ragione.” L’incertezza della scorsa settimana è stata più che sufficiente a giustificare un ritorno del nervosismo nei mercati.

Ciò nonostante, ci sono sempre meno dubbi sul fatto che difficilmente i prossimi 12 mesi saranno caratterizzati da una recessione, anche se causeranno un rallentamento dell’attività economica. La storia insegna che di rado le correzioni sostanziali dei mercati azionari si sono trasformate in veri e propri trend di mercati al ribasso, in assenza di una recessione nell’arco di 12 mesi. È quindi piuttosto intuitivo ritenere che ci troveremo presto ad affrontare una buona, seppure volatile, ripresa del mercato.

Ha dunque senso zavorrare lo scafo per non andare alla deriva in queste acque burrascose, ma è altrettanto importante lasciare le vele ben spiegate per sfruttare appieno il vento nel caso di una forte ripresa.

Prudenza

La prudenza non è mai troppa. Accanto alle incertezze che influenzano direttamente le quotazioni degli asset (andamento dei tassi negli Usa e ritmo della crescita economica, soprattutto in Cina) esistono ancora molte fonti di instabilità di natura esogena.

Solo la scorsa settimana, gli sviluppi incoraggianti nella disputa commerciale fra Stati Uniti e Cina sono stati oscurati sia dalla confusione sulla Brexit nel Regno Unito che dall’inasprimento dei toni nell’Eurozona a causa del piano di bilancio dell’Italia. Nel frattempo, gli Stati Uniti si stanno abituando a un Congresso diviso, la Bank of Japan sta lanciando segnali contrastanti, la Germania si sta lasciando alle spalle l’era di Angela Merkel e le tre maggiori economie dell’America Latina sono alle prese con cambiamenti politici radicali.

Tutto questo contribuisce ad alimentare la volatilità e con le crescenti correlazioni fra azioni e obbligazioni restano pochi porti in cui rifugiarsi. Nemmeno i Treasury hanno offerto un riparo a ottobre né sono riusciti a contrastare l’aumento della volatilità a febbraio. Come osservato da Deutsche Bank, una percentuale più elevata di asset class hanno registrato rendimenti negativi, in dollari US, da inizio anno, rispetto agli anni precedenti.

Eppure, la volatilità non corrisponde a un periodo prolungato di ribasso del mercato.

A fine ottobre, l’indice MSCI All Country World ex-USA ha ceduto il 20% dal picco più recente. Secondo una ricerca di Goldman Sachs, quando un simile scenario si è venuto a delineare in passato, i successivi 12 mesi sono sempre stati accompagnati da rendimenti positivi (in media del 21,7%), purché nello stesso periodo non si sia verificata una recessione. In tal caso, infatti, i rendimenti nei 12 mesi successivi sono stati quasi sempre negativi, in media del -11,4%.

A ottobre l’indice S&P 500 ha registrato una correzione di quasi 10%. Una simile situazione in passato si è tradotta otto volte su dieci in un rendimento positivo che, nei 12 mesi successivi e in assenza di recessione, ha raggiunto in media l’11,8%. In presenza di una recessione, invece, i rendimenti nei 12 mesi successivi sono rimasti mediamente invariati.

Una correzione del mercato azionario in un contesto di espansione economica ha rappresentato nella maggior parte dei casi un’opportunità di valore. Fatta questa premessa, è evidente come la combinazione di rapida crescita degli utili societari negli Usa e sell-off di ottobre abbia causato la terza maggiore flessione annuale del rapporto prezzo/utili dagli anni ‘70.

Fiducia

Nei prossimi 12 mesi andremo incontro a una recessione?

Le stime di consensus indicano che la crescita del PIL statunitense rallenterà da un tasso del 3,0% quest’anno al 2,5% l’anno prossimo. Gli analisti azionari, da parte loro, prevedono un calo dal 25% al 10% dell’incremento degli utili dell’indice S&P 500. Si prevede dunque un rallentamento, ma questi dati sono ben lungi dal rappresentare una recessione.

Inoltre, un lieve raffreddamento dello slancio statunitense, accompagnato dalla recente fiacchezza dei prezzi petroliferi, riduce il rischio di ampliamento del divario fra la crescita e l’inflazione negli Usa e nel resto del mondo, concedendo alla Federal Reserve margine di manovra per aumentare i tassi d’interesse in maniera più graduale rispetto a quanto attualmente previsto dai “dots”.

Nell’ultimo Asset Allocation Committee Quarterly Update, ho scritto che gli investitori avrebbero avuto le idee più chiare riguardo alla solidità del ciclo in corrispondenza delle elezioni di medio termine negli Usa. Siamo tuttora convinti che il 2019 sarà caratterizzato da una ri-convergenza e stabilizzazione globale ed è per questo che preferiamo mantenere una certa esposizione al rischio nei portafogli multi-asset, consapevoli che una diversificazione ben pensata e disciplinata è essenziale in un contesto di mercato sempre più correlato e volatile.

A nostro avviso ha quindi senso rafforzare la solidità dello scafo con un’esposizione a obbligazioni a breve duration e asset legati all’inflazione, ma altrettanto fondamentale è mantenere le vele spiegate, pronti ad incrementare le posizioni in azioni statunitensi e dei paesi emergenti in caso di persistente volatilità dei mercati.

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