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19 Giugno 2018

Neuberger Berman: Produttività, inflazione e il percorso dei tassi

di Erik Knutzen, Chief Investment Officer - Fixed Income

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Uno dei principali strumenti di misura dell’economia di cui ho parlato all’inizio dell’anno è il manometro delle aspettative di inflazione. Allora sostenevo che se il tasso di breakeven statunitense a dieci anni avesse superato la soglia del 2,5%, la Federal Reserve avrebbe potuto trovarsi nella necessità di accelerare il ritmo dei rialzi.

Nelle settimane successive, la Banca Centrale sembrava sul punto di doverlo fare, ma poi, verso la metà di maggio, il tasso di breakeven si è bloccato al 2,2% e ai primi di giugno era ridisceso sotto il 2%.

La settimana scorsa, come previsto, la Federal Reserve ha aumentato i tassi, abbandonando l’orientamento “low-for-longer” e innalzando leggermente il “dot plot”. La Banca Centrale Europea ha seguito lo stesso copione, confermando l’intenzione di porre fine agli acquisti del quantitative easing entro la fine dell’anno, se le prospettive di inflazione (riviste al rialzo) verranno confermate. È il momento giusto di domandarsi come mai i mercati siano diventati così incerti nelle proprie aspettative di inflazione e che cosa una simile incertezza implica in termini di longevità del ciclo economico e di percorso dei tassi.

Che fine ha fatto l’inflazione?

Da inizio anno, l’inflazione effettiva è stata effettivamente inferiore alle attese.

La disoccupazione è scesa a livelli che negli Stati Uniti non si vedevano dal 2000, in Giappone dai primi anni ’90 del secolo scorso e in Europa dal 2007. Le materie prime vanno rincarando ormai da 12 mesi. Il ciclo economico sembra aver raggiunto la maturità, con valutazioni azionarie solide e spread compressi. Nondimeno, nel solo 2018 gli Stati Uniti hanno implementato stimoli fiscali per 280 miliardi di dollari.

In un simile contesto, è sorprendente come l’indice dei prezzi al consumo (IPC) statunitense viaggi attorno al 2,0-2,2% soltanto. L’indice preferito dalla Fed per misurare l’inflazione, vale a dire la spesa per consumi individuali (PCE), è salito dall’1,5% all’1,8% ma rimane sotto la soglia obiettivo del 2%. L’inflazione sembra essersi ripresa dallo scivolone registrato l’anno scorso, ma a quanto pare ancora non rispecchia tutta la pressione che sta accumulando sotto di sé.

Forse dovremmo riesaminare quei forti stimoli fiscali. Gran parte di essi sono stati realizzati sotto forma di riduzione delle imposte sulle imprese che si tradurrà in aumenti salariali, dividendi e riacquisti di azioni proprie, tutti fattori potenzialmente in grado di produrre inflazione. Tuttavia, stando alle relazioni del primo e secondo trimestre, almeno una parte di quelle risorse viene attualmente utilizzata per la spesa in conto capitale che, potenzialmente, potrebbe avere effetti disinflazionistici.

Spesa in conto capitale e produttività

Come può la spesa avere effetti disinflazionistici? Gli investimenti in nuovi macchinari e nuove tecnologie normalmente migliorano la produttività. A parità di ore di lavoro, di salari pagati e di materie prime acquistate, un miglioramento della produttività implica un aumento della resa economica. Questo, a sua volta, consente all’economia di crescere leggermente senza alimentare l’inflazione.

Le cifre ufficiali indicano che la produttività è in calo da anni, un dato non coerente con la stabilità della crescita e i bassi livelli di inflazione che hanno caratterizzato gli ultimi trent’anni. “L’era informatica è visibile dappertutto, eccetto che nelle statistiche della produttività”, scriveva il premio Nobel Robert Solow nel 1987, quando i personal computer da 64K erano una novità. Beh, sembra che oggi, in piena era dello smartphone, la crescita della produttività sia addirittura più lenta.

Forse le statistiche non sono in grado di rispecchiare l’impatto degli smartphone e dell’intelligenza artificiale come fecero invece con l’impatto delle ferrovie, dei camion e dei voli intercontinentali? O forse l’aumento della produttività è solo questione di poco tempo? Lasciamo agli accademici il dibattito su questo rompicapo. A noi investitori basta riconoscere la correlazione tra i progressi della tecnologia e la lentezza con cui sta crescendo l’inflazione e constatare che quest’anno la spesa in conto capitale è stata trainata dai settori dell’energia e della tecnologia.

Continuate a tenere d’occhio quel manometro

È troppo presto per sostenere che gli investimenti effettuati nel primo semestre abbiano impresso una forte spinta alla produttività e indebolito l’inflazione. Ma non è troppo presto per chiedersi se forse la limiteranno anche nel prossimi 12-18 mesi. Al di là del leggero segnale inviato la settimana scorsa dal nuovo presidente della Fed, un andamento favorevole dell’inflazione offrirebbe alla Banca Centrale i margini di manovra necessari per continuare il processo di normalizzazione dei tassi e di ridimensionamento del bilancio, tranquillizzando al contempo i mercati con previsioni e dichiarazioni accomodanti.

Tutto sommato, un quadro del genere potrebbe prolungare ulteriormente questo ciclo economico già lungo. C’è persino chi sta parlando di un ritorno allo scenario di “Riccioli d’oro” del 2017. Noi non arriviamo a tanto, ma è opportuno ricordare che l’economia ci può sorprendere con la sua capacità di crescere anche in assenza di inflazione. Continuate a tenere d’occhio quel manometro.

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