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11 Dicembre 2018

Neuberger Berman: Atterraggio morbido

di Brad Tank, Chief Investment Officer - Fixed Income

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Quello che accade nei mercati finanziari a volte è molto significativo e a volte no, nonostante sia oggetto di grande attenzione e numerosi commenti.

A nostro avviso, la forma della curva dei rendimenti dei Treasury Usa ricade in questa seconda categoria.

Leggendo qualunque commento di mercato della settimana scorsa, si scopre che quando in passato lo spread tra i rendimenti a due e dieci anni si è invertito, nei 18 mesi a seguire si è mediamente verificata una recessione negli Stati Uniti. Stesso discorso per lo spread tra i rendimenti a due e a cinque anni, che si è invertito la settimana scorsa.

Tuattavia, non riteniamo più che la curva dei rendimenti statunitensi fornisca molte informazioni sull’imminenza o meno di una recessione negli Stati Uniti. Il motivo è questo: mentre i tassi del segmento a breve della curva sono influenzati dalle azioni della Federal Reserve in risposta all’andamento dell’economia nazionale, i tassi del segmento a lungo dipendono dalla crescita e dall’inflazione a livello globale. Può benissimo darsi che di qui a due anni gli Stati Uniti entrino in recessione, ma oggi una curva piatta non dice nulla se non che la Fed sta applicando tassi più alti rispetto al resto del mondo.

Eppure, c’è chiaramente qualcosa che rende inquieti gli investitori. Crediamo si tratti semplicemente di una reazione eccessiva a quello che dovrebbe essere un “atterraggio morbido” per gli Stati Uniti l’anno prossimo.

La Fed scala le marce

Fino a ottobre gli investitori hanno scontato un contesto in cui la crescita statunitense sarebbe proseguita imperterrita, nonostante il rallentamento del resto del mondo. Ormai da tempo ci aspettiamo una convergenza tra queste due traiettorie e non solo perché negli Stati Uniti l’effetto degli stimoli è destinato a venir meno, ma anche perché la Cina ne ha lanciati di nuovi. Non mancano certo i rischi di eventi avversi. Gli stimoli cinesi potrebbero non produrre gli effetti sperati. O i colloqui commerciali tra Washington e Pechino potrebbero arenarsi (e di certo non hanno aiutato né la confusione che ha accompagnato gli esiti del G20 né l’arresto del CFO di Huawei, avvenuto la settimana scorsa). Ad ogni modo, il nostro scenario di base per gli Stati Uniti prevede per il 2019 un ritorno a un tasso di crescita del 2-2,5%, come è accaduto per il resto del mondo nel 2018.

Dodici mesi fa la Fed prevedeva tassi a termine piatti per il 2020, senza qualificare la cosa come “atterraggio morbido”, anche se era sottinteso. La nostra view è che probabilmente tali condizioni sono state anticipate dal 2020 al 2019.

Il mercato teme che la Fed non veda la macchia d’olio sull’asfalto davanti a sè e continui a premere sui freni. Se in un contesto come quello attuale si esagera con i rialzi dei tassi, si rischia che l’economia vada in testacoda. Indubbiamente gli ultimi Fed dot per il 2019 sembrano troppo alti e, anche dopo la correzione della settimana scorsa, siamo dell’avviso che il mercato stia scontando una quantità di rialzi maggiore di quella che in ultima analisi sarà effettivamente necessaria nel 2019.

Come abbiamo visto, le dichiarazioni della Fed mostrano già che la banca centrale sta scalando le marce. Il presidente Jerome Powell ha detto chiaro e tondo che la Fed presterà sempre più attenzione all’andamento dei dati economici poichè diminuirà la sua capacità di formulare previsioni a 12 mesi. Tutto ciò ci fa ritenere con una certa sicurezza che i rialzi dei tassi saranno presto sospesi. Forse, addirittura, già dalla riunione di questo mese.

Esposizione selettiva al credito di media qualità

Quali implicazioni avrebbe per gli investitori un atterraggio morbido (vale a dire un rallentamento della crescita negli Stati Uniti e un sospensione dei rialzi da parte della Fed)?

Probabilmente implica una curva dei rendimenti stabile e piatta, la possibilità di una modesta espansione dei multipli azionari nonostante il rallentamento della crescita degli utili, un’elevata volatilità di mercato e una maggiore correlazione tra gli asset, unitamente a una più vasta dispersione dei rendimenti guidata dai fondamentali all’interno delle diverse asset class.

In generale, significa che difficilmente vedremo la fine del ciclo nel 2019 ed è per questo che non crediamo sia opportuno evitare indiscriminatamente il rischio di credito, ma occorra invece sottolineare l’opportunità di essere pazienti e selettivi in questo ambito.

Per noi investitori, questo significa che i titoli con scadenze medio-brevi di emittenti di media qualità sono i più attraenti. Non dimentichiamo che da tempo teniamo d’occhio i rischi associati agli emittenti con rating BBB e al debito bancario e questa cautela si è rivelata provvidenziale durante il recente periodo di volatilità. Ci ha dato l’opportunità di selezionare con attenzione nei mercati emergenti, i titoli high yield di maggiore qualità e i titoli di alcune delle società più rischiose nei segmenti dell’investment grade e dei prodotti strutturati.

Il rumore sui mercati è assordante in questo momento, ma crediamo che non faccia altro che distogliere l’attenzione degli investitori da quello che, a nostro avviso, sarà l’esito più probabile nel 2019: una sospensione dei rialzi da parte della Fed, un atterraggio morbido da parte degli Stati Uniti e la riconvergenza dei tassi di crescita globali verso i livelli più bassi prevalenti nel periodo post-crisi finanziaria. In tale contesto, l’aggiunta di uno spread da titoli di credito di alta qualità ai rendimenti relativamente alti di titoli statunitensi a breve scadenza potrebbe generare rendimenti corretti per il rischio interessanti, che andrebbero ad affiancarsi al reddito fisso a più lunga scadenza, all’high yield più in generale o alle azioni.

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