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3 Luglio 2020

Cosa significa per l'immobiliare bloccare gli sfratti

di Giorgio Spaziani Testa, presidente Confedilizia

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Domenica scorsa la Commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento al decreto “rilancio” che sospende tutte le procedure esecutive di rilascio (gli sfratti, per intendersi) fino al 31 dicembre 2020. La sospensione era già in vigore dal 17 marzo per effetto del decreto “cura Italia”, che l’aveva prevista dapprima fino al 30 giugno e poi, in sede di conversione, fino all’1 settembre. Sono interessati tutti gli affitti, abitativi e non abitativi, e tutte le procedure, sia per morosità sia per finita locazione.

Si tratta di una misura di una gravità inaudita, della quale può immaginarsi che almeno una parte della maggioranza non abbia neppure valutato la portata (l’emendamento è stato firmato da Liberi e Uguali, Partito democratico e Movimento 5 Stelle).

Che cosa comporta, in sostanza, questa disposizione? Una sospensione del diritto nel campo delle locazioni, per dirla in breve. Attraverso un semplice comma, infatti, si vieta per quasi un anno l’esecuzione di sentenze emesse dai giudici a tutela di centinaia di migliaia di cittadini che attendevano di rientrare in possesso del proprio immobile, essendo spirato il termine di durata del contratto ovvero per il mancato pagamento dei canoni.

L’intento di chi ha proposto e approvato l’emendamento è, deve presumersi, quello di salvaguardare i conduttori in relazione all’emergenza Covid. La prima osservazione da fare, allora, è che gli sfratti bloccati riguardano essenzialmente situazioni sorte e sviluppatesi quando il nuovo Coronavirus era ben lontano dal manifestarsi. La beffa che si aggiunge al danno.

In ogni caso, è l’approccio scelto ad essere completamente errato, oltre che gravemente lesivo del diritto di proprietà. Se il Governo e il Parlamento ritengono che vada tutelata l’esigenza di una categoria di cittadini, devono disporre che se ne faccia carico la collettività, non già imporre ad un’altra categoria di cittadini di farlo, a proprie spese e senza alcuna forma di risarcimento. 

Del tutto fuori luogo, poi, è un intervento così generalizzato, che non viene neppure condizionato, come invece fatto per altre misure varate in questo periodo, alla circostanza di aver subito danni dal Covid. Ad usufruire del blocco, quindi, sarà anche un dipendente statale con il suo stipendio garantito, che sarà “assistito” coattivamente da un proprietario che potrebbe avere il canone di locazione quale unica entrata (per non parlare del favore fatto ai tanti truffatori dell’affitto).

Chi legifera in questo modo, evidentemente, si disinteressa delle condizioni in cui può trovarsi il soggetto che subisce le conseguenze della norma, vale a dire il proprietario-locatore. Quest’ultimo può aver perso il lavoro, può trovarsi in cassa integrazione, può essere una partita Iva in crisi, può essere titolare di un contratto di mutuo, può avere in corso costosi interventi di ristrutturazione. Ma tutto ciò non viene considerato. Anzi, il 16 giugno scorso, sull’immobile che gli viene di fatto espropriato ha dovuto anche pagare (se ha trovato i soldi) la prima rata dell’Imu, la patrimoniale sugli immobili, per la quale il Governo non ha neppure disposto un rinvio.

Non ci si rende conto, poi, che un provvedimento del genere determina conseguenze devastanti sul mercato immobiliare, con effetti negativi sulle stesse categorie che si intenderebbe tutelare, vale a dire gli inquilini. Chi mai andrebbe ad avventurarsi in nuovi contratti di locazione, abitativi o commerciali, sapendo che il suo investimento è soggetto a intromissioni di questo genere da parte dello Stato?

Il Parlamento ci ripensi e faccia prevalere il buon senso.

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