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6 Dicembre 2015

Rent to buy, l'ennesima beffa

di M.C.

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L’idea è buona, la realizzazione impossibile, nel classico stile italiano.

 

Il rent to buy è la possibilità di affittare un immobile, riservandosi la possibilità di diventarne proprietario. Un sistema, in teoria, perfetto per riattivare le vendite in questo periodo.

 

Se dagli annunci però si passa ad analizzare la procedura concreta, si capisce come i governi dell’immobiliare non si curano affatto. Si pagano infatti due volte le tasse, sia per l’affitto sia per la vendita. E in più anticipate. Una follia, a onor del vero individuata dal Fatto di Marco Travaglio, che peggiora ancor di più la fiducia degli acquirenti.

 

Andiamo con ordine. Il Notariato ha pubblicato una guida sul rent to buy. E va riconosciuto ai notai di tentare di contribuire a rendere trasparenti gli strumenti disponibili. Proprio questa maggiore trasparenza consente ora di conoscere anche le storture della legge. Nel settembre 2014, governo Renzi, il decreto Sblocca Italia (Dl 133/14, art.23) ha introdotto il Rent to buy, l’affitto con riscatto. Si tratta di un contratto che consente a chi ha intenzione di acquistare un immobile, ma non ha capitale sufficiente, di poterlo abitare immediatamente a fronte del pagamento di un canone più alto di un normale affitto. Sarà poi considerato come acconto sul prezzo di acquisto senza superare i dieci anni.

Prendiamo ad esempio un appartamento dal costo di 100mila euro e canone mensile di mille euro. Una parte di affitto (ad esempio 500 euro) viene intascato dal proprietario per l’utilizzo, come se fosse una normale locazione. Gli altri 500 euro, invece, vengono considerati come un acconto sul prezzo di vendita e hanno l’effetto di ridurre il prezzo finale. Così, se dopo cinque anni si deciderà di acquistare l’appartamento, non si dovranno più pagare 100mila euro ma solo 70mila perché i restanti 30mila euro sono stati versati con la quota del canone mensile. Praticamente una formula magica – così fu annunciato 16 mesi fa – per risolvere il dramma della difficoltà di accesso al credito per gli aspiranti proprietari (che in banca possono, infatti, richiedere un mutuo più basso) e dare ai costruttori una chance di smaltire l’invenduto, ma c’è un ma.

“L’acquirente – spiega a ilfattoquotidiano.it il consigliere del Notariato Albino Farina – già al momento della firma del contratto comincia a versare le imposte indirette dovute sulla parte di canone imputata ad acconto prezzo con il rischio che le stesse si rivelino, al momento della stipula dell’atto di alienazione, pertinente alla seconda fase, maggiori di quelle che avrebbe pagato nel caso di una normale compravendita, con il diritto al rimborso dell’eccedenza corrisposta”. Un limite che – prosegue – purtroppo vanifica la bontà del contratto che, in un momento di crisi immobiliare, avrebbe invece le carte in regola per consentire ai giovani, con scarsa liquidità, di realizzare il sogno di una vita e comprare casa”.

Chiare, invece, le garanzie per chi compra : “Oltre alla certezza che il prezzo della futura casa non varierà nel tempo – sottolinea Farina – il contratto viene trascritto nei registri immobiliari. E questo equivale a una prenotazione di acquisto vincolante per le parti. In pratica durante la durata del contratto l’immobile rimarrà libero da ipoteche e non potrà essere venduto a nessun altro. Inoltre, se il proprietario è un imprenditore che fallisce, il futuro acquirente è tutelato dai creditori del venditore: porterà a termine l’operazione con il fallimento, senza perdere quanto versato”.

Se si cambia idea: “Il proprietario – conclude Farina – può trattenere tutto o una parte di quanto è stato pagato. Anche in questo caso, la decisione di quanto verrà trattenuto come indennizzo dipende dagli accordi tra le parti, anche se di solito si tende a trattenere solo una parte dei soldi versati come accantonamento”.

L’ennesimo caso in cui perdono tutti: i notai che si trovano con un carico di lavoro aggiuntivo a fronte di nessun contratto sottoscritto; i consumatori che prendono in considerazione la possibilità di diventare proprietari e poi abbandonano l’operazione; i venditori (proprietari e advisor) che perdono solo tempo seguendo clienti che non compreranno mai.

Chi ci guadagna allora? Forse i burocrati che dovrebbero mettere a punto sistemi efficaci per giustificare il loro impiego. E forse il governo del momento, che può vantare l’ennesima misura a favore del settore. Solo in teoria, ma sembra che così basti a molti. Certo è che, a oggi, nessun operatore o associazione ha commentato la notizia. Perché allora il governo dovrebbe prestare attenzione al settore?

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È online il nuovo numero di REview. Questa settimana:   Student Housing: accordo per 800 nuovi