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16 Febbraio 2018

Quando delegare alle Regioni è controproducente

di Stefano Foni, Presidente Associazione Proprietari Alberghieri della Liguria

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In Italia oltre il 55% degli alberghi ha meno di 25 camere e quindi, per forza di cose, è a gestione famigliare. I rapporti internazionali e nazionali certificano un sistema Alberghiero Italiano, costituito da strutture inadeguate dal punto di vista degli standard strutturali e dimensionali rispetto alla media europea. Queste ridotte dimensioni non permettono un ritorno economico dell’investimento, ma perché quasi nessuno investe nell’ampliamento e nella ristrutturazione delle strutture ricettive tradizionali, che a parole, dovrebbe essere uno dei settori trainanti dell’economia nazionale?

Intanto è necessario sottolineare che, in tantissime località turistiche del Bel Paese si lavora 5/6 mesi l’anno. L’elevato impatto delle imposte non detraibili sulla proprietà, scoraggia di fatto gli investimenti nel settore. Negli ultimi anni è esploso un mercato ricettivo parallelo, libero da vincoli di sorta, agile ed intraprendente dove tutti propongono le loro offerte senza vincoli e normative: appartamenti, ville, castelli, bed & breakfast, edifici appartenenti ad enti religiosi ecc. tutti liberi di entrare ed uscire dal mercato ricettivo come meglio credono.

Ma quello che realmente sfugge ai non addetti al settore, è la delega nella materia del turismo, dal livello centrale attribuita alle Regioni,  e qui si sono create situazioni paradossali, la  più critica in una regione storicamente e per caratteristiche votata alla ricettività turistica, la Liguria, dove, a seguito dell’entrata in vigore della L.R. n. 1/2008, che ha assoggettato a specifico vincolo alberghiero con divieto di modifica di destinazione d’uso gli immobili sedi di albergo e le relative aree asservite, si assiste al progressivo ed inesorabile abbandono di numerosi,  spesso antichi edifici, a causa della impossibilità di rimuovere tale vincolo e riconvertire le attività esistenti. 

L’imposizione di un vincolo di natura economica e di conseguenza l’obbligatorietà ad esercitare una determinata attività secondo criteri discrezionali di un’amministrazione, oltre a determinare un crollo del valore reale dell’immobile ( decremento, tra l’altro, non considerato in sede di valutazione catastale ), trascende i limiti della disciplina urbanistica di uno Stato di diritto, calpestando il diritto di proprietà e quello di libera impresa, instaurando una vera e propria servitù di cose e persone (sul modello della servitù della gleba, di stampo medioevale). L’albergatore di fatto viene espropriato della proprietà del suo immobile e, senza alcuna contropartita, viene obbligato, lui stesso e le sue future generazioni, a mantenere l’attività alberghiera ricettiva tradizionale, senza poter orientare la sua offerta verso forme di ospitalità più appetibili alla domanda di mercato, con la sola possibilità, in caso di non redditività dell’azienda, di poterla chiudere ma, in ogni modo continuando a pagare le tasse sull’immobile.

Albergo era nel momento dell’entrata in vigore della legge ed albergo resta, con buona pace del giusto ritorno economico dell’investimento, della concorrenza tra operatori del settore turistico-ricettivo, in aperta violazione degli accordi sul libero mercato firmati tra Italia ed Europa, il tutto con inevitabile pregiudizio all’economia nazionale stante l’impossibilità di competere ad armi pari con le altre realtà.

Allontanando di fatto gli imprenditori sani del settore, si è aperto il mercato a chi può investire senza tenere conto del ritorno economico e quindi, al riciclaggio del denaro illecito tramite l’acquisizione di immobili alberghieri che altrimenti non troverebbero acquirenti.

Sorprendente è il fatto che anche Federalberghi (il sindacato più rappresentativo della categoria) taccia su questo importante problema, che assilla tanti proprietari di piccoli e medi alberghi, forse più preoccupato a rappresentare “tutti” (vedi i gestori/locatori delle attività ricettive), che di fare il reale interesse del turismo: quello di renderlo libero di competere e di investire, con la certezza che l’investimento non sia un salto nel buio. 

Oggi, l’Associazione che mi onoro di rappresentare: “Associazione Proprietari Alberghieri della Liguria” fondata nel maggio del 2015, ha 2 ricorsi pendenti, uno al Consiglio di Stato e l’altro al Presidente della Repubblica, ed entrambi chiedono la remissione alla Corte Costituzionale, ovvero alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, della questione di legittimità costituzionale e comunitaria della normativa sul vincolo alberghiero della Regione Liguria: vogliamo conoscere il parere degli Organi nazionali e comunitari sulla legittimità della legge regionale 01/2008, ossia se la stessa come non pare sia compatibile con i principi della libertà di iniziativa economica e del diritto di proprietà privata, di cui agli art. 41  e 42 della Costituzione, e non violi i principi nazionali e di diritto europeo in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi e tutela della concorrenza. 

Siamo determinati a portare i nostri ricorsi fino alla Corte di Giustizia Europea per far valere i nostri diritti di tornare ad essere imprenditori liberi, liberi di scegliere il proprio futuro e quello dei propri figli.


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