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Le priorità della legislatura
di Luigi dell'Olio, Monitorimmobiliare
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In attesa di capire se il Parlamento riuscirà a esprimere una maggioranza di governo e con quali tempistiche, un fatto è certo: per l’Italia non c’è tempo da perdere. Il Paese ha bisogno di riprendere la strada delle riforme per liberare le energie che ci sono e a lungo sono state soffocate da burocrazia ed elevata imposizione fiscale.
Due manovre in arrivo
Guardando al breve termine, la maggiore preoccupazione è legata alla manovra correttiva che il nostro Governo potrebbe essere costretto a mettere in campo già in primavera. Il giudizio dell’Ue non è ancora arrivato, ma appare sempre più probabile la richiesta di una correzione dei conti nell’ordine di 2,5-3 miliardi di euro. Un compito che inevitabilmente spetterà al Governo Gentiloni, anche se appare arduo individuare i capitoli dai quali potranno arrivare queste risorse. Dopo i tagli alla spesa pubblica e gli aumenti delle tasse compiuti negli scorsi anni, dove reperire una cifra simile? L’esecutivo dovrà muoversi con grande cautela, nella consapevolezza che non potrà essere soffocata la crescita economica, che nell’anno in corso dovrebbe attestarsi intorno all’1,5%, proseguendo quindi nel ritmo registrato lo scorso anno.
Subito dopo occorrerà poi mettere a punto la manovra 2019, che partirà con un grosso handicap: alla luce degli impegni presi con l’Europa nella fase più dura della crisi italiana, occorrerà trovare coperture per 12,5 miliardi di euro, pensa l’aumento dell’Iva, che andrebbe a colpire soprattutto le fasce di popolazione più disagiate. Si farà ricorso a nuove tasse o si accetterà finalmente di prendere di petto le spese improduttive dello Stato, pur nella consapevolezza che questo approccio potrà costare in termini di consenso elettorale? In attesa di scoprirlo, appare certo che non vi è molto spazio per realizzare le promesse mirabolanti avanzate in campagna elettorale.
Quadro macro tra luci e ombre
In un’economia sempre più globalizzata, quello che succede nel mercato interno conta fino a un certo punto. La piccola ripresa italiana degli ultimi anni è frutto soprattutto della crescita internazionale, che quest’anno dovrebbe proseguire sopra il 3%. Anche se le incognite non mancano: le tensioni geopolitiche dal Medio Oriente alla Brexit, il prezzo delle materie prime, l’inflazione che resta su livelli particolarmente contenuti, con il risultato di limitare la propensione ai consumi e agli investimenti.
Bce osservata speciale
Tra gli attori da monitorare con maggiore attenzione c’è la Banca centrale europea, che si appresta a porre fine agli acquisti di asset per sostenere la liquidità sui mercati (il cosiddetto quantitative easing) e che tra poco più di un anno dovrebbe iniziare ad alzare i tassi ufficiali. I mercati finanziari tendono ad anticipare i possibili sviluppi dell’economia reale e qualche tensione si è già vista nelle ultime settimane. Anche se le parole pronunciate dal governatore Mario Draghi nei giorni scorsi sono apparse chiare: “Servono pazienza, prudenza e persistenza” ben oltre la fine del Qe, ha chiarito l’economista italiano, lasciando intendere che non vi saranno strappi verso l’alto. Sempre che, è sottinteso, sul mercato non emergano fattori che rendano necessario un simile approccio.
Di certo c’è che tra un anno e mezzo il mandato di Draghi finirà e il testimone dovrebbe passare a Jens Weidmann, attuale presidente della Bundesbank. Una Bce a guida tedesca verosimilmente sarà molto meno indulgente verso le necessità dei Paesi periferici dell’Eurozona, a cominciare dall’Italia.
L’attenzione sul mercato
Tornando all’Italia non sembra esservi un’alternativa alla concessione di maggiore spazio al mercato. Il Parlamento si è impegnato ad approvare leggi annuali sulla concorrenza in grado di aumentare il potenziale di attività economica e ridurre i costi in particolare nei settori strategici delle telecomunicazioni, dell’energia, dei trasporti, anche se si fatica a vedere passi in avanti su questi versanti.
Per tornare a investire e assumere le imprese hanno poi bisogno di una maggiore stabilità normativa. Secondo uno studio dell’Ocse, nell’arco di 30 anni la tassazione sulle imprese in Italia è stata modificata 32 volte: colpa dei continui cambi di governo, e di relativa direzione politica, ma anche di scarsa attenzione alle esigenze di chi fa business. Per un imprenditore che è chiamato a pianificare gli investimenti, non è certo il contesto migliore.
Più spazio alla Borsa
Nella stagione post-crisi le banche non possono più costituire l’unica fonte di finanziamento delle aziende e anzi lo saranno sempre meno, dato che le normative internazionali richiedono livelli crescenti di patrimonializzazione. Non resta quindi che sviluppare maggiormente il mercato dei capitali. L’introduzione dei Pir all’inizio del 2017 ha creato le condizioni per un cambio di passo e ora si attende un’accelerazione delle aziende quotate. Anche nell’immobiliare, dato che da quest’anno i benefici fiscali sono stati estesi anche agli investimenti finanziari nel settore. In più, da inizio anno è previsto un credito d’imposta nell’ordine del 50% relativamente ai costi di consulenza sostenuti per la quotazione in Borsa delle Pmi.
Affrontare il nodo tasse
Mettere in campo queste azioni è indispensabile per avere gli spazi di manovra necessari a ridurre la tassazione. Una richiesta in tal senso viene avanzata da tutti i settori, a cominciare dall’immobiliare, che negli ultimi anni ha dovuto fare i conti con un aggravio ormai difficile da sostenere.
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