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22 Marzo 2018

L'oro e la Banca d'Italia

di Luigi Donato, Capo del Dipartimento Immobili e appalti - Banca d'Italia

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L’oro è molte cose. Sicuramente, da sempre, basta la parola “oro” ad attirare immediatamente  l’attenzione e a suscitare un coacervo di sentimenti, magari non tutti positivi, ma forti e sempre vivi.

“Oro” è il titolo di un recentissimo libro di Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia e presidente dell’IVASS, edito da il Mulino,  che si muove su più piani per dipanare questo grande mistero. L’oro, infatti pur se definito quasi “un relitto barbarico” da John Maynard Keynes, rimane centrale nella nostra cultura e nell’economia mondiale, anzi continua a crescere d’importanza, quasi a bilanciare l’immaterialità dell’economia virtuale e della moneta digitale.

La storia ci aiuta a comprendere l’enorme importanza dell’oro nello sviluppo della società lungo almeno tremila anni. Così l’oro richiama, nel corso dei secoli, i concetti di bellezza, divinità, valore, ricchezza, risparmio, scambio.

Il libro di Salvatore Rossi per affrontare questo tema affascinante si apre, in realtà, con una storia particolare, davvero drammatica, che ha riguardato direttamente la Banca d’Italia.

Siamo a Roma, dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943. La capitale è ancora saldamente sotto il controllo delle truppe naziste e, come vedremo, il “fortino” di Palazzo Koch, ove sono conservate le riserve auree del paese, è sotto assedio. La narrazione segue le vicende e i sentimenti di un impiegato “di concetto” della Banca d’Italia, Vittorio Piovesan di Treviso, scrupoloso addetto alla contabilità delle riserve in oro, allora 120 tonnellate. Sembra di vederlo, un po’ grigio ma di buon senso. Ecco dunque la reazione degli uffici della Banca che, a qualunque costo, vogliono difendere l’oro dalla prevedibile razzia delle truppe nazista. Si riuniscono in segreto e decidono di nascondere l’oro con un inganno ben studiato ma difficile da realizzare; su tutto prevale il senso del dovere. E Piovesan concepisce il piano che viene realizzato in ore convulse. Ma fu tutto inutile: e alla fine, come in un thriller, l’oro viene comunque portato via dai nazisti. E come per un  thriller  non si può anticipare cosa accadde in realtà. Forse questa storia avrebbe meritato un intero romanzo, ma funge nel libro da innesto per affrontare temi molto rilevanti.

Intanto negli anni successivi gran parte dell’oro è rientrato nei caveau della Banca e le riserve sono cresciute via via enormemente grazie a scelte lungimiranti.  E fu un gran bene per il paese. La Banca d’Italia è stata in grado di conferirne agevolmente 141 tonnellate alla neo costituita Banca centrale europea, di darne un quinto in pegno nel 1974 alla Deutsche Bundesbank per fronteggiare lo squilibrio della bilancia dei pagamenti a seguito dello shock petrolifero, di poter essere oggi il quarto detentore di riserve auree al mondo con ben 2.500 tonnellate, con un valore di circa 87 miliardi di euro.

Da qui riparte il filo dell’analisi economica e sociale sull’oro; il primo punto è che l’oro è, da sempre, anche un potente status symbol, nella politica, nell’arte, nelle favole, nei cartoon, nella cultura dei mafiosi.

E il tema economico che si pone a fronte dell’oro come simbolo è, quindi, quello della distribuzione della ricchezza e della povertà. Anche la recente “Indagine sui bilanci delle famiglie italiane” curata dalla Banca d’Italia sottolinea ancora la crescita della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e della quota degli individui a rischio di povertà: la ricchezza delle famiglie è calata riflettendo quasi interamente la diminuzione dei prezzi delle case.

Ma, come ricorda Salvatore Rossi, questa disuguaglianza riflette la generale contrazione dei redditi negli ultimi anni e i ritardi nello sfruttare la rivoluzione tecnologica.

L’oro è poi, nella storia, sinonimo di denaro. Anche questo tema è complicato e si allarga al concetto di credito e a quello di mercato. Al centro scorre la lunga vicenda dell’integrazione tra la materialità dell’oro e la moneta legale che sfocia, infine, nel gold standard e cioè nella fase della convertibilità delle monete in oro, rafforzando anche la supremazia monetaria delle banche centrali sugli stessi governi. Dopo le due guerre mondiali, però, fu il dollaro a divenire centrale quale unica valuta convertibile in oro; ma poi anche questo vincolo è venuto meno e nel mercato libero dell’oro, al di là di ogni possibile previsione, il prezzo è via via cresciuto enormemente. Con varie eccezione, naturalmente, una delle quali molto importante nel 1999 quando il governo inglese decise la vendita di un ingente quantitativo provocando un immediato crollo del prezzo dell’oro sul mercato.

Ecco allora la spiegazione dell’enigma dell’oro che vive sulla stabilità delle riserve e sulla fiducia che certamente anche in futuro i mercati gli riserveranno.

Un punto delicato attiene al presente e al dubbio se non sia più utile vendere, anche solo in parte,  questo tesoro del paese per ridurre il debito pubblico. La risposta è priva di preconcetti: a fronte di 2.300 miliardi di euro la dismissione di qualche centinaia di milioni ricavabili per anno sarebbe del tutto irrilevante. Una vendita più massiccia farebbe crollare i prezzi e lo stesso valore delle riserve auree. In più sui mercati una iniziativa del genere sarebbe comunque letta come un segno forte di disperazione innestando proprio la crisi che  le riserve in oro mirano ad evitare.

In conclusione il libro di Salvatore Rossi, che non si fa giustizia a sintetizzare, nel guidarci attorno all’enigma dell’oro nell’economia e nella società aiuta a comprendere molto del nostro passato e anche del prevedibile futuro in cui l’oro, anche se chiuso nei caveau, continuerà a brillare del suo impareggiabile, affascinante colore.

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