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27 Febbraio 2017

Crif Ratings: governance centrale nelle imprese famigliari (Report)

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In tema di corporate governance le imprese a conduzione familiare si distinguono generalmente per gli ampi scostamenti dalle best practice accettate dai mercati finanziari e riconducibili ai codici di autodisciplina delle principali borse internazionali.

Tuttavia, uno studio di CRIF Ratings evidenzia come la governance familiare, ancorché lontana dagli standard di autodisciplina, non sempre è meno efficace nel garantire l’equilibrio tra gli interessi delle parti in causa.

Nei processi di analisi per la valutazione del rating creditizio, a parità di tutti gli altri fattori, l’analisi della corporate governance assume un peso dirimente nell’assegnazione del giudizio.

Pertanto, CRIF Ratings ritiene sia opportuno superare un approccio standardizzato e procedere ad una valutazione più contestualizzata dei meccanismi di governo delle imprese ancorate al modello familiare, di particolare rilevanza nel contesto italiano ed europeo in generale.

Lo studio ha preso in considerazione, in tre diversi settori, due aziende italiane con controllo maggioritario del capitale e del Consiglio di Amministrazione da parte della famiglia di riferimento: Barilla e Lavazza per Alimentare e bevande, Armani e Ferragamo per Abbigliamento e accessori di alta gamma e Angelini e Chiesi per il Farmaceutico. Queste aziende sono state confrontate con imprese estere quotate in borsa con azionariato diffuso (public company) e corporate governance in linea con le best practice internazionali: Nestlé per Alimentare e bevande, Burberry per Abbigliamento e accessori di alta gamma e Novartis per il Farmaceutico. In tutti i casi si tratta di imprese con un fatturato superiore al miliardo di euro.

Ciò che distingue le imprese italiane è una corporate governance dove resta centrale il ruolo di indirizzo strategico della famiglia proprietaria tramite il controllo del CdA, una caratteristica che discende dal possesso della maggioranza assoluta del capitale sociale. Al contrario, le imprese estere evidenziano un CdA composto in prevalenza da membri indipendenti e la proprietà diffusa del capitale con una quota del principale azionista non superiore al 5%, caratteristiche coerenti con lo status di public company.

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